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sabato 14 aprile 2012

Il sabato taziale e l'Amazzonia che scompare


Bonjour, bonjour, bonjour, è il sabato taziale, finalmente.
Che bello.

Guardo l’orologio. La stanno “disboscando”, ora, per usare un suo termine.
E poi le “pitteranno” le unghie di rouge noir, sempre per usare un suo termine.
Chissà a che ora tornerà.
Artemisia dice che potrei chiudere il blog, ma lo dice forse perché è stanca di leggermi.
Perché io, invece, sento che avrò molto da scrivere.
Ventiquattro anni, cazzo. E’ l’età perfetta per evoluzioni ardite in nome della sperimentazione e dell’acquisizione di consapevolezza e conoscenza. E’ perfetta.

Idee Chiare


Leggins nere, blusa bianca con disegni geometrici neri che quando scivola lascia uscire la spalla sino al capezzolo, sandali neri di camoscio aperti con tacco e zeppa, che sensuali ditina.
“Che versione di troia sei?” chiedo assolutamente disinteressato al cibo.
“Quella che si ingrifa mettendosi le leggins senza mutande e questa maglia senza reggiseno” mi rispondi luridamente allupata.
Cristo.
Quella che si ingrifa.
“La maglia e i sandali sono di mia madre” ridi divertita e lasci scendere la maglia lentamente e, controllando intorno di essere vista, ti chini in avanti sino a far sbocciare il capezzolo destro dall’orlo e poi, fintamente infastidita, ricomponi.

“Ti scoperei qui davanti a tutti, sul tavolo”
“Magari si potesse, sarei già a gambe aperte sul tavolo” mormori guardandomi negli occhi, gonfia di voglia.
“Con quanti l’hai fatto questo giochetto arrapante?” chiedo maschilmente coglione.
“A questo modo mai. I ragazzi sono un mix contraddittorio di possessività soffocante e disimpegno totale. Non ci si diverte a quelle condizioni, non c’è complicità, non apprezzano l’erotismo, saltano fuori solo casini. Per divertirsi a questo modo ci vuole un uomo adulto, un uomo adulto che sappia godere del rischio, che sappia apprezzare certi sapori adulti e che ti spinga a osare, a trasgredire”

“Definisci trasgressione” chiedo, perché è importante sapere.
Ci pensa. E poi pronuncia il verdetto.
“Trasgredire significherebbe infrangere una regola. Ma è più profondo il significato. Ad esempio, trasgredire non significa infrangere la regola che non si mostrano i capezzoli al ristorante, ma significa godere dell’effetto che si suscita nel partner mostrandosi a tutti, significa infrangere la regola della gelosia, facendola diventare un terreno di gioco per un piacere svergognato e condiviso. Un piacere sottile e non per tutti. Ci vuole intelligenza per godere della gelosia trasformata in oggetto sessuale”
Complimenti, chapeau, regge eccome.

“Quindi la trasgressione implica il partner spettatore” chiedo.
“Sì, anche se non necessariamente” mi rispondi sicura.
“Faresti queste cose anche da sola, quindi” incalzo eccitato a morte.
“Sì. Mi eccita l’idea di sconvolgere di voglia lasciando chi mi vede nell’eccitazione incompiuta”
“Sino a che punto pensi di volerti spingere?” ti chiedo e sorridi con una mossa che ti scopre la spalla.
Fai una pausa ripiegando con attenzione il tovagliolo, poi mi guardi e mi spieghi.
“E’ una domanda sbagliata sai? Presuppone che tutto sia controllato e fa cadere lo spirito della cosa. Se sappiamo a che punto ci fermeremo tanto vale reprimersi, o no? E’ l’incerto che eccita.” e sorridi sporca.
Poi mi spari la bordata.
“Tu hai un punto a cui vorresti mi fermassi?”
“No” rispondo immediatamente, deglutendo ed osservando quella maglia al limite dell’areola.
Sorridi.

Poi ti spingi in avanti.
“Quel porco non fa che guardarmi i piedi” sussurri con sorridente malcelata soddisfazione, indicandomi con un’occhiata quel tizio sulla cinquantina al tavolo accanto al nostro.
“Si farà una gran sega pensandoti” ti sussurro.
Sorridi soddisfatta, lanciandogli delle occhiate ammiccanti, per poi cadere nei miei occhi.
Cristo.

Cameriere, il conto silvuplè.

venerdì 13 aprile 2012

Saudade do Sodoma


“Dove andiamo a mangiare?” mi urli dal cesso di servizio che sei lì che smazzi con gli elettrodomestici turbo.
Ti raggiungo e ti palpo da dietro e guardiamo assieme nello specchio l’immagine splendida di noi nudi e ti strizzo le mammellette di marmo e ti annuso e ti dico di non lavarti e mi dici che sono fuori di senno che “la puzza di figa mi si sente ad un miglio” e io adoro quando mi parli in bretone, con quell’accento così blasè.
“Ho voglia di frittura” mi dici con l’aria della zoccola gravida riarsa da diecimila voglie carnali.
“E frittura sia, ma ti voglio introiata da urlo” e mi dici va bene con tutti quei bei denti bianchissimi.
“Troiona ruspante o troiona sofista?” mi chiedi, esibendo perizia circostanziata.
“Troiona a tua scelta” ti rispondo mentre lo sfregamento della minchia sulle tue chiappe galattiche comincia a produrre turgori che inducono la saudade do Sodoma.
“Allora mi sbrigo, che devo passare per casa” mi dici mentre la cappella gode dello spacco del tuo culo bollente.
“Ho voglia di troncartelo in culo” ti mormoro sozzo in un bretone incerto.
“Avrai tutto il tempo” mi soffi con un bacio.
Poi mi cacci dal cesso. Non c’è tempo da perdere. Ciascuno a casa a prendere i panni, che la fame di ogni cosa è ben seria.
E allora partiamo.
Via.
A domani.

Lavasgiu e asciugasgiu


“Tra meno di mezz’ora arrivo” mi dici al parlàfono.
“Vai direttamente a casa che ti aspetto lì” ti dico impaziente.
Giacchino impermeabile nero, corto, maglionicno di lana blu scollato tondo, jeans e ballerine senza calze, ma allora dillo che vuoi che ti stupri sull’uscio e mi dici di sì, che vuoi essere stuprata sull’uscio ed io eseguo lo stupro che il trolley è rimasto sotto il portico e io e te, con la porta aperta, in due secondi eravamo nudi a ficcare come bestiole sul pavimento di legno e diobono se ti volevo sai? e tu aggiungi che diobono non resistevi più e ti sono entrato dentro dritto filato e che bello morire sulla tua pelle calda, non mi passava più, non ti passava più, Squinzy mi sa che mi sono innamorato di brutto di te, Taz io sono certamente innamorata di brutto di te da due vite e, se anche non è vero che mi ami di brutto, continua a fingere così che mi sento svenire. E venire, anche. Assieme a me che ti riempio di schizzoni la fessurina pelosa e anche tu schizzi convulsa e alla fine dei mugolii la pozzetta di dolce sughina che hai schizzato venendo giace sul legno e io mi schianto a succhiarla e mi dici un “nooooo” sovracuto e ridente con schiocco, picchiandomi il culo, che mi mancava di sentirlo riecheggiare qui dentro quello schiocco e poi dai, tira dentro quel trolley che chiudiamo la porta che piove.

Meraviglioso. Ti sposti come una ninfa nuda in cucina, che hai sete perché hai mangiato quella merda in aereo e mentre razzoli in frigo e ti attacchi alla bottiglia del succo d’arancia io mi inginocchio e ficco la faccia tra le tue chiappe del culo e ti lecco il buco odoroso e tu spingi all’indietro per farti leccare e poi chiudi il frigo e mi dici “ti voglio” che mi inorgoglisce non poco e me lo mandi duro di pietra in un picosecondo e ti sollevo e ti impalo e tu stringi con le belle gambine e mi abbracci con le belle braccine e mi dici ringhiando “scopami a morte” e ti accontento, ti trapano duro, ti freso, ti aleso, ti frassino la fregna e stai col culo appena appoggiato al bel ripiano di resinawow e sciacquetti rumorosa e sguaiata sotto i miei colpi a trivella e ti slinguo il cardias e tu mi slingui il piloro e torniamo a venire urlando arrapati come gorilla del Bengala settentrionale.

Poi, pace. Ci baciamo all’infinito, saliva, saliva, saliva, com’è buona la tua saliva, com’è buona, com’è buona.
“Vieni pollastrella che ti faccio vedere una cosa”, ti prendo per mano e ti guido in soggiorno e ti mostro il paccone regalo arrivato dalla terra cangura e tu ridi e mi dici “di già?” con le manine a coprire la bocca ridanciana e io apro e ti passo esortando la prova. Quello a rete, cristo santissimo ti sbocciano i peli della topa dai buchi e mi prende la pisellite e tu grugnisci “che schifoso coi peliiiiii”, ma poi aggiungi sottovoce “però che figata… da porcazza davvero… “ e ti guardi il culo e dici “wow” poi ti spogli e provi l’altro e mi chiedi ridendo “quanto ti tira a farmi far la porcazza… eh?” e io ti rispondo che tirarmi mi tira, ma mi corre anche l’obbligo di ricordarti che sei una porcazza e che io mi limito ad assecondare le tue propensioni e tu ne convieni aggiungendo che ho ragione, che sei una troiona orgogliosa di esserlo. E questo si chiama parlare.

Provi tutto, ti ingalli con la mini che commenti dicendo che senza mutande ci sarà del bel ridere e ne convengo, poi provi quello bianco, ma che bello che è, scherzi a parte, ma guarda che qua non scherza nessuno, il troianesimo è questione seria e ne convieni anche tu, poi alla fine sentenzi “Non mi posso vedere con ‘sti peli da scrofa. Adesso prenoto la cera e domattina zinf zanf c’ho la pisella e il buco del culo della Barbie!” e non scherzi no, telefoni subito all’estetista diletta, ore nove, ma è l’alba!, cazzi tuoi, eh sì.

**

Adesso sei di là che squittisci con la lavatrice che t’ho detto di farlo da me il bucato e sento dei wow, non so il perché. Ogni tanto urli delle funzioni, ridendo, che a me non mi dicono sega, fuori piove, tu sei nuda, io pure, mi svacco sul divanone e mi accendo un candelotto di dinamite, scrivo poche righe su questo blogghetto, mi urli preorgasmica che c’è pure l’asciugatrice ed io capisco, dopo due vite, che sono davvero felice.
Vualà.

Quella casa aspettattè


Ah che bellezza.
Oggi la mia Prugnettapelosaeodorosa prende l’aereo e viene a provarsi i costumini WW nella cauntriaus.
Ho il pisellone tutto imbizzarrito che gli vorrei fare una foto e mostrarvelo.
Certo che oh, adesso lei non ci pensa, ma è veramente una croce.
In cinque minuti raggiunge la metro a piedi, in un quarto d’ora è alla Victoria Station, in mezz’ora è a Gatwick, in due ore è a Verona, in un’ora è qui. Tempo totale dei trasferimenti, al netto delle attese: tre ore e cinquanta minuti. Tempo lordo degli imprevisti: quattro ore e mezza circa.
Cioè nove ore in un weekend, mica poco eh. Eh no.
Ieri sera mi ha raccontato di come la happy fake family si sia dissolta come neve al sole: papy è tornato in Cina e mamy è migrata a Roma dove c’ha il suo fertile ambiente di artisti fertili. Sentir dire dalla pittrice che “Questa casa non è un albergo” è davvero ilare, sì. Ricongiunzioni? Improbabili nel breve. Mamy parte per le Bahamas a maggio e ci resta un mese che c’ha i suoi cazzi da sbrigare (e non credo solo in maniera figurata) e papy resta al pezzo in Cina.
Ottimo, direi.
Mi prendo cura io degli arrossati buchini della Principina, non temiate.
Ah, che bellezza.
La Squinzy torna.
Come mi tira.
Ha!

Il tuo futuro marito è simpaticissimo sai?


E allora decido che mi bevo qualcosa e poi vado a nanna e vado in quel locale che mi sta pure bene perché è parecchio fuori mano e so di non incontrare nessuno, che conosco il barman che una volta lavorava al winebar e adesso lavora lì. Due chiacchiere al banco, lui è simpatico e pure carino, l’ambiente è fighetto, un po’ night e un po’ no, che si capisce da subito che è un circolo gay. Staziono al bancone con in mano un J.D. e quando sono all’ultimo sorso, che psicologicamente già sto guidando verso la branda, il barman Nicola mi mette davanti un altro J.D. che gli dico che io non l’ho ordinato e lui mi dice che lo sa, ma che me lo offre quel tipo laggiù.
Cazzo, che approccio, mi dico, degno della Hollywood degli anni cinquanta, poi alzo lo sguardo col bicchiere in mano e vedo che un altro c’ha il bicchiere in mano e alzo e gli brindo e alza e mi brinda. Che bel pezzo di manzo muscoloso, mi dico, poi si alza e mi raggiunge, ciao sono Tazio, ciao sono Giovanni, ma chiamami Giò.

Quanta lingua in quel bagno che è piccolissimo e non consente di andare sin dove vorremmo andare e, mentre mi succhia i capezzoli, lavorandomi sotto con sapiente bravura, considero lieve che se a qualcuno scappa da pisciare davvero è rovinato, in quel posto, che tutti e quattro i box cesso sono pieni di sozzi che si fanno le cose ed è un gusto sentire l’audio maschile che gode, là dentro. Ma che bella bocca che c’hai mio bel Giò, va a finire che vengo se mi succhi così e, infatti, vengo godendo rumoroso come tutti là dentro.

Poi usciamo e fumiamo una siga prima di andare alla branda e ci scambiamo i numerini, ma dimmi sei bi?, sì sono fidanzatissimo e a giugno mi sposo, e tu?, diciamo che sto con una ragazza che mi piace davvero, benissimo, dice, io lavoro alla Banca Rapinaselvaggia di Strazzamazza, ma son di Ravenna, sicché tutta la settimana son qua, capisco, ma senti Tazio, non ci vieni mai alle Terme Imperiali?, no Giò, meritano?, meritano eccome, anche solo per farsi gli occhi, che ci son certi culi che ti lasciano senza fiato.

Ecco Giò, volevo dirti, che a me il concetto che ci sia un culo che mi lascia senza fiato mi spinge a pensare a qualcosa che non è propriamente erotico, in un maschio. Magari in una femmina è sicuramente diverso, ma da un manzo mi spiace, mi lascia interdetto. E lui ride.
Senti in settimana ti chiamo, ma sì chiamami Giò, che ci facciamo due spaghi e continuiamo con calma quel che lì dentro non siamo riusciti a farci e sorridi, mi slingui palpandomi il pacco e scompari a bordo della tua Audi A4 Avant bianca ultrawow.

Che simpatica conoscenza.
Chissà se la sua futura moglie sa quant’è simpatico ai maschietti il suo Giò.