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domenica 22 febbraio 2015

Svolte sensate

Mille piegoline intarsiano il decolletè oramai archeologico della bella Walchiria ospite fissa di tutti gli  appuntamenti minchiani del fine settimana e – hoplàvoilà – ci sborro in bocca tra i gerontoapplausi del contorno di nude amiche dianzi soddisfatte, e ci sborro urlante come fossi un Calippo fuor di cella strizzato da Hulk Hogan, fuor di cella come vorrei lo fosse il bel Corona Innocente al quale farei qualsiasi cosa penale e anche, o soprattutto, anale che oramai ce le ha belle che chiacchierate quelle sublime chiappe e allora, orsù bel Fabrizione, discettiamo anche noi di sborra e cappelle anulate, bel manzetto tatuato del mio cuor.
Certo che qui nella Cechia si gioca alla Mosca, mentre nella Mosca gelata l’Alina piangente rimane a sperare il mio ritorno vincente, manco fossi un Tenente, che in realtà son prossimo a divenir un assai più pregiato Tenutario, ma qui la passeraggine cannibale è cosa diffusa ed è assai difficile persino agguantare le chiavi dal tavolino che esse sussurrano “sì chiavaci, bel tenebroso italiano dotato di mazza utlrasonica” e allora su, sempre più su,  dove la fica fiorisce a mazzi e dove no, la fretta no, non mi può sfiorare, pena che le tardone si rifiutino di pagare e orrore! no, tutto diventerebbe mestizia e tristizia e povertizia e io no, non lo posso sopportare. Ficco nelle teutoniche carni oramai prossime alla morte, discese dai valichi a placar la mai sopita fame di cazzo, come fossero imbellettate e ben tenute evolute Varane di Komodo dalle ficone slabbrate e poi mi disinfetto e mi rinfranco frequentando aree di sosta autostradali magiche, dove tecnologici bestioni dai lunghi tragitti riposano le stanche gomme e giovani puttane battono in attesa del miglior offerente ed eccomi qua a contrattar d’anatomia e denari e la bella sale e si denuda totalmente come non ci fosse un domani all’interno del mio signorile furgone di marca germanica, soddisfatta dell’affare monetario concluso e poi stupefatta dell’affare carnaceo che la aspetta già turgido e sì, mon amour, le Tazion ti vuol far venire con un bell’orgasmon e allora daje, ravana, ficca, suda lecca e annusa e sbava e pompa e succhia e capelli bagnati incollati alla fronte e begli occhi di cielo contornati da palpebre dipinte di sozzo desiderio e piedini e cosce e mani che strizzano coglioni e ditina che si infrattano nel mio sfondatissimo ano e l’urlo giunge sublime, tra Scania e Daf odorosi di olio e ascelle ruvide e bagnate di giovane troia che squilla l’orgasmo felice e poi baci zuppi di sborra e carezze, sudori incollati, fetori anali e biglietti su cui manine tremanti vergano numeri di telefono e indirizzi e vocine bambine sussurrano “stasera lavoro lì e magari dopo” e io annuisco bacio e prometto, talvolta giuro cantando d’amore, ma la campagna è vasta, si perde con l’occhio e la memoria con lei, che tra chi sei, che hai detto, che hai fatto il bulbo oculare si illumina di due chiappe marmoree che sbocciano da una biondina che si china al mercato e poi la scena si sposta all’interno e ciak azione, la bella biondina è a novanta nella pensioncina umida, ma onesta e stasera no, mio amore no, che c’ho da lavorare pure io che mi scende la coppia italiana con cui devo fingere di essere inglese e trapano a demolizione la lei vacca sozza mentre il lui cornuto imbecille filma e io, capiscimi biondina stupenda, tengo famiglia pur non sapendo dov’è.
E Alina mi aspetta infoiata e amorosa, scrivendomi ogni dì mail scritte in un russo perfetto a cui io rispondo in un ruspante dialetto emiliano ornato di caratteri cirillici, che qui all’Est la forma è tutto.
Un poco di pazienza e il mio sogno diviene realtà.
Alina, o come cazzo ti chiami, io ti amo perdutamente.
Vualà.