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venerdì 29 maggio 2015

Le serate della pozzanghera

Una si chiama Sara, una si chiama Maya, una viene da qui vicino e una pure, anche se nello specifico lavora a Roma, una l’ho conosciuta e strachiavata il giorno del miatroiamonio e una l’ho appena conosciuta, quella che conosco carnalmente stavolta è vestita da freakettona e non porta il reggiseno sotto la t-shirt, nonostante le mammellone dondolanti e duramente appuntite, quella che ho appena conosciuto è vestita da freakettona e non porta il reggiseno a ragion veduta delle contenute mammellette. Tutti e tre siamo uniti da un comune interesse che si snoda da seduti sul Divindivano, a strafarci di una tonnellata di squisita erba additivata chimicamente portata dalla Sara e fumata dal mio bong estasiante, che ogni tanto subisce una sega mimata dalla Sara stessa che emette anche degli scimmiottati “aaaah” da pornoporca a bocca aperta e sorridente.

“Oh Taz, ma sai che stamattina a pausa caffè mi sono beccata la cazziatona dalla Nadia per essermene andata con te dal matrimonio?”.
Ma non ci posso credere che sia arrivata a tanto e poi quello pazzo sono io eh?
”E Perché?” – chiedo - “Mi fa ‘oh vè madamina, và che sei stata invitata per stare alla festa, non per andare a chiavare  col primo stronzo che capitava’ “ e ride come una matta e ha ragione, lei che non le girano i coglioni.

“Ma è fuori ‘sta tipa” - chiede molle la Maya – “E’ fuori da delirio, da legare, forse anche da sopprimere, anzi da sopprimere assieme a tutti i suoi amici/adepti” – rispondo garbatamente.
“Sì ma io le ho detto” – continua la Sara – “ ‘Oh ma te c’hai idea di che due coglioni mi stavo facendo alla tua cazzo di festa di merda, visto dove mi hai messa a sedere? Ti serviva almeno una figa per far numero a quel tavolo di sfigati come il male eh? ” e cade su un fianco ridendo, mentre io credo che, se questa è la  verità, ciò abbia un tantino incrinato la stupenda amicizia che c’era tra le due.

Le ascelle nude e lisce della Maya, che fanno capolino dal gilet con gli specchietti,  profumano di ormoni selvatici e sudore e ‘sta rossa scarmigliata, pallida, con quel tatuaggio sul polso e i piedi sporchi di scalzitudine, con le unghie lunghe da zingara porca (e sporca), mi arrapa a bestia e fumiamo, fumiamo, che sembra che siano andati a fuoco dei copertoni nella stanza.

“Forse ha bisogno di una bella pacca di cazzo nero duro nel culo” sentenzia con criterio assennato la arredatrice scarmigliata prestata alla Capitale, passandomi il bong da accendere.
“Forse anche due, tutti e due nel culo” ridacchia la Sara di rimando.

Ma tu guarda che bel terzetto che componiamo, così, senza preavvisi e preparazioni.
Le vecchie care cose genuine di un tempo, piene di spontaneità giovanile, che superano e suonano alla porta proprio quando la Lidia c’aveva un noiosissimo “malditestaaaaaaa che non ti dico neanche…” di matura fattura adulta e poi la presenza dell’erbazzone superbo additivato che favorisce la socialità  e che fa perdere anche la timidezza, aiuta ed arreda e, così, mi ritrovo spontaneo ad aver messo il cazzo mezzo barzotto tra i piedi lerci della Maya che si lascia fare rammollita, mentre la Sara si toglie la maglietta (che caldo è caldo eh, ci sono quattordici gradi fuori eh) e trita rapida una pistina di borotalco magico e poi la fa scomparire *puf* in una nasatona da prestigiatrice con le tette nude che mi mette allegria rampazza alla fava rampolla, che si allunga importante tra le piante dei piedi della strafatta Rossa che commenta seria le mie dimensioni con un “minchia...” appena sussurrato e poi tutto comincia, finalmentevogliaddio, a degenerare.

La bocca della Sara parte d’improvviso leccando cazzo e dita dei piedi dell'amica sporca, senza favoristismi, mentre la Rossa collabora scorrendo le dita luride lungo la canna, confidando all’amica “E’ da una vita che non prendo il cazzo” ed io mi sbottono la camicia rimanendo a petto nudo “Mmmmh che bello che sei figone mio”, commenta sempre la Rossa, mentre io mi scompongo giusto per lasciar scivolare pantaloni e mutande sul pavimento di legno antico e vissuto e la Sara mi sega con la sinistra e mi entra con due dita nell buco del culo con la destra e le mammellette della Rossa fanno d’improvviso il loro bel debutto, coi capezzolini piccoli e rosa, duri che sembrano lamponi pallidi e mi slingua bovina, mentre si libera in un guizzo dei pantaloni di stile orientale sotto i quali, ovviamente, non indossa antiestetiche mutande che possano distorcere l’arte del folto triangolo pel di carota, che così bello e compatto si staglia sulla sua pelle candida.

Che bella serata, accidenti.
Il bong si riaccende fumoso mentre la bocca della Sara porta a durezza d’esercizio il Cazzo Maestrale Gonfio nelle Vene di Bolina e la Rossa mi passa il tubo di vetro dedicandosi a succhiarmi i coglioni sino quasi a staccarmeli, come se sapesse che i succhioni dolorosi fatti così mi portano all’estasi e io fumo e passo alla Sara che siede per accendere e io scorro le dita tra le chiappe magre della Rossa, cercandole il buco del culo, mentre lei spompina con compulsione degna di Stravinskij ed è tutta pura armonia coreografica, come nelle migliori performance di Moses Pendleton.

Bella la Rossa di schiena a gambe spalancate, con la Sara che le spalanca senza riguardi la fica bagnata, sputandovi in mezzo rumorosa, lasciando un sottile filo di bava densa che fa da ponte tibetano tra un labbro e l’altro. Ma che bello essere guidato dalla mano della stessa Sara ad imboccare quel nero buco viscido e slabbrato per entrarvi imponente, insolente e prepotente, mentre la Rossa inarca la schiena a occhi chiusi sibilando “cazzo” e l’amica Sara la corregge sorridendole suina, stringendole le guance, facendole aprire la bocca per sputarle dentro, dicendole “porcoddio devi dire troia…”  ed io sollevo le gambe della Rossa sino ad appoggiarmele sulle spalle, estasiato del puzzo intenso dei suoi piedi freak e la Sara si accomoda a sedere sulla sua bocca, rivolta verso di me, cercando la mia lingua, leccando con me quelle dita con le lunghe unghie gialle da zingara sensuale, ondeggiando il bacino per sentire ed apprezzare meglio il lavoro di bocca che l’amica le sta facendo ed io adorerei sentire il tintinnio di una pisciata in quella bocca aperta e leccante, ma a vi sarà un tempo per tutto.

Che tettone la Sara, che meraviglia elongarle i capezzoli con un pizzico mentre lei aspira aria tra i denti bestemmiando laida ad occhi chiusi senza smettere di ondeggiare, stringendo le mani intrecciate dietro al mio collo, gaudente di dolore e piacere, bella come solo una puttana orientale sa essere.
Chiavare fumati, delizia delle delizie, in un triangolo osceno senza limiti, avvolti dall’odore sudato dei nostri corpi, provando posizioni e cambi, dalla Rossa alla Sara, dal culo della Sara alla bocca aspirante e suggente della Rossa, come nei pornazzi di serie D di fattura americana, sborrando sui peli di una e godendo della lingua dell’altra che ripulisce famelica le tracce del mio seme di maschio, il bong che si riaccende, le pistine magiche che si ricompongono e poi scompaiono ad opera delle maghelle simpaticissime e la serata va, felice, serena, molle, mentre la Rossa mi lavora da Maestra di Lingua Anale il buco del culo e la Sara si ingozza di cazzo fino a barrire eleganti rutti e conati di vomito, girandosi con uno scatto improvviso per riprendere la minchia nella fica bollente e poi bong e poi talco e sborra e fica su fica a sfregare assatanate e poi sessantanove lesbo e buchi del culo da esplorare e bong e coca e poi la Caporetto, la fine, la disfatta, la resa, lo svacco, il silenzio, i respiri, corpi abbandonati come coreografici pupazzi irridenti la selvaggia sessualità dianzi consumata.

***
“Cosa fai ‘sto ponte?” mi chiede anestetizzata la Sara.
“Boh, penso che non farò un cazzo, non so” rispondo pensando in un lampo alla Lidia e all’Oki.
“Noi andiamo a sfasciarci a Ibiza di una montagna di roba e di sesso” grugnisce la Rossa tracciando un arco con la mano nell’aria a rappresentare la montagna di roba che si faranno. “Vieni con noi che ci spacchiamo di brutto e chiaviamo tutto il giorno”.

Mah. Il progetto non è da buttare, a dire il vero.
Penso all’inquietante e golosa situazione isolana, ma poi rifletto e torno in me.
Mi parlo da amico e mi ricordo che sono appena tornato a scivolare nella pozzanghera torbida con donne vuote e, quindi, devo uscirne per non buttarmi via ed estinguermi, come dice la Lidia.
Era più o meno così, vero?
E comunque c’è poco da trafficare, se lo dice la Lidia (che ha studiato), sarà vero.
Ma è vero di sicuro, dai.
No?
Ma sì, dai, è vero.
O no?
Boh.
Ma cosa, poi?

giovedì 28 maggio 2015

Riunioni di sperticato affetto amicale

Questa mattina ho preso un caffè con la Kikka al bar Butchentrale e, oltre ad averne rimirato le sensuali forme cosciali che tanti bei ricordi uccellanti e ficanti mi hanno revocato, sono stato messo al corrente di alcuni fatti amicali che  si sono svolti, con correttezza e grande onestà, nella serata di ieri, ossia nella prima sera in cui il duo nubiliare ha rimesso piede in terra natia.
Summit al gran completo, convocazione via sms di tutti: Kikka, Virus, Umbe, Papagirl, Maggie, Zack, Sandra, Anto e Sa-aaarti (“Ma non si erano ammollati?” – “Massì, ma era una riunione ‘tecnica’ che poi, alla fine, la Nadia li ha fatti rimettere assieme) gestita dalla regia inimitabile della serissima Novella Sposa Pettoruta, sorretta come fosse carta a carbone dal suo Novello Sposo e dalla Segretaria Generale Reggente Maggie La Acidula.

Oggetto della “riunione tecnica”: Tazio la Merda.
Sintesi: Tazio è una merda, è bisessuale, frequenta prostitute, è un esibizionista che va a masturbarsi sull’argine spiando le coppiette, fuma la canapa indiana, è un maniaco sessuale, un bugiardo malato. Egli mente patologicamente (non vorremo mica credere che si è fatto la ANTO VERO? Nooooooo Nadia ecchessiamomatti?) perché è uno smargiasso sbruffone, sobillatore che ama seminare zizzania e spaccare tutto con le sue bugie e poi è anche un malato di mente, ma lo sapete che lo hanno ricoverato anche al manicomio dopo che ha tentato di tagliarsi le vene quando la Vale lo ha mollato (aveva fatto benissimo, poveretta, con una merda del genere), taci che tu Maggie ci hai visto lungo e lo hai mandato via quando ha tentato di fare il porco con te, ma poi voi lo sapete cosa fa in Repubblica Ceca? Traffica con la droga secondo me, troppi soldi ha per le meani.

Sono lusingato, davvero. Non dovevano disturbarsi così tanto.

“E tu Kikka?”
“Io sono stata zitta, cosa dovevo dire? Che ce l’hai grossissimo e scopi bene?”
e ride come una matta.
“No dai, ma non hai detto neanche una parola? E Virus?”
“Io? Zitta e svampita come al solito. Virus, quando ha sentito la Nadia dire che non ti si deve credere quando dici che ti fai una, perché sei pazzo [lo avessi mai detto che me n’ero fatta una a parte quella che mi sono veramente fatto, almeno] si è rilassato e non ci ha fatto caso più”.
Grande Virus, complimentoni, sei sveglio come un zitrone piumato.

“E ma sabato gliele canto al signorino eh” – dice Max con veemenza, per guadagnarsi maschiale stima con la Novella e la Segretaria Reggente – “che non creda di pranzare alla Solita come se niente fosse! Gli ficco in gola tutto e gli do anche indietro i soldi del viaggio di nozze che non ne voglio sapere!” e la Kikka, maestosa, mi dice con voce bassa e occhio spalancato “Magari quella parte era meglio che la lasciasse stare, visto il rossore violaceo in volto della Novella quando lo ha sentito….” e io sganascio di gusto totale.

Peccato.
Io sabato non sarò alla Solita perché ho altri progetti assai più interessanti, ma non temano lor signori, l’occasione della chiarezza arriverà eccome.

***

“Che bei piedi che hai Kikka, ti pianterei l’uccello tra le dita fino a venire”
“Qui non si può”
dice sorridendo con l’occhio lurido, accarezzandosi le dita medesime.
“Faremo un’altra volta” dico io.
“Tipo stasera che è giovedì-calcetto?”
Tipo, sì.
Ma tipo, però.


mercoledì 27 maggio 2015

Sala d'attesa

“Ma la dottoressa la aspettava?”
“No, in effetti no, ma ho tempo e aspetto, grazie”

E poi, dopo molto, si apre la porta ed esce un tizio che continua a parlarle delle sue cose e lei è maledettamente professionale, treccia arrotolata e fissata sull’estremità della testa, pencil skirt antracite, camicetta bianca, scarpe Chanel nere che le accentuano le vene sul collo del piedino, che l’avevo vista uscire così anche stamattina, ma contestualizzata è tutta un’altra cosa.

“Si accomodi prego, dottore” – mi dice seria per prendermi per il culo.
Ringrazio e la seguo.
“A cosa devo la sua graditissima visita?” – mi chiede con un sorriso sottile e gli occhietti piccoli, dopo essersi serrata alle spalle la porta insonorizzata di cuoio marrone.
“Sono venuto a leccarle la fica, dottoressa. Spero di non essere stato inopportuno.”
“Tutt’altro, venga qui, la prego” – mi sussurra spostando la sedia dalla posizione direzionale ad una posizione laterale.
Staziono eretto davanti a lei, in ogni senso, osservando l’abbassamento della pencil skirt ed il suo abbandono morto e scomposto, sulla moquette marrone.

“Inginocchiati” – mi ordina con voce bassa e suadente, aprendo le gambe quasi a centoottanta gradi, mantenendo calzate le sensuali scarpe, scostando il perizoma nero di cotone per sbattermi in faccia la vagina carnosa. Ed io mi inginocchio, vestito del mio bell’abito Canali in sintonia con l’ambiente e comincio a leccare. Lecco e gusto, mi sazio di lei, mi inebrio del suo odore, mentre le sue dita  mi accarezzano appena la fronte e i capelli e la sua voce pacata mi racconta i suoi pensieri, lenti, lentamente.
Lecco ovunque vi sia carne sensibile, fica, perineo, ano e lei mi agevola spingendo all’infuori  il bacino, scivolando sul sedile, mormorando “Ci speravo tu passassi… ma non ne ero certa…” e la mia bocca si perde in mille virtuosismi che la portano ad ansimare ritmicamente.

“Dio quanto mi piace Tazio…” – mugola spettinandomi – “…ci metteresti un minuto a farmi venire…” – ed io mormoro un “vieni ti prego” che lei asseconda contraendosi sulla sedia, le mani salde sui braccioli, il capo reclinato all’indietro, mentre io non ho alcuna intenzione di farmi bastare quell’orgasmo e continuo a leccare e succhiare e mordere e mangiare quella fica e quel culo sublimi e lei sussulta sussurrando sorridente “…che bastardo… non ti basta… vuoi distruggermi”, ma esatto cherie, non mi basta, e detto quello faccio sgusciare il cazzo dalla cerniera abbassata e glielo spingo dentro alla viscida e bollente fica, sortendo una vocale d’estasi.

E ci abbracciamo, scomposti, arruffati, mentre le mormoro “Io sono convinto che le porcherie che mi piacciono le sappia fare benissimo anche tu, che non sei affatto una vuota donna relitto, ma una creatura magnetica da cui io voglio tutto, perché le pozzanghere torbide mi hanno soffocato e io voglio tornare a vivere” e i suoi occhi luminosi si aggrappano ai miei mentre replica ardita “Insegnami a fare tutto quello che ti piace e io lo farò e….” e non c’è nessun “e”, c’è solo l’orgasmo squassante e improvviso, che zittisco con la mano sulla sua bocca, pompandola di forza, mentre diviene rossa, con le vene delle tempie ingrossate e trema e mi stringe e le vengo dentro con forza, con vigore, ma senza alcuna violenza, godendo della camicetta sudatina appena, schizzando felice.

***
Ricomposizione.
Perfetta.
In piedi in mezzo all’ufficio, l’un davanti all’altra, non un dettaglio fuori posto, non un capello.
“Ha impegni per cena, dottoressa?” – chiedo guascone per superare l’attimo di imbarazzo.
“Sì, sono impegnata con te.”
E ci baciamo, abbracciati, in piedi, stringendoci.
“Insegnami a diventare quello che vuoi…”  mormora in un soffio.
“Voglio dell’altro in cambio…” replico fronte sulla fronte.
“Tutto quello che vuoi lo avrai…” e ci ribaciamo, profondi, appassionati, seccati che il pomeriggio sia ancora lungo e la sera lontana.

E me ne vado.
Svelto.
Aprendo e chiudendo il forziere afonico con velocità, attraversando a passi lunghi il corridoio, salutando appena l’assistente, uscendo in strada, prendendo l’auto americana, partendo veloce, per poi rallentare nella campagna vuota, tentando di riordinare il casino che ho in testa e che solo Bill Evans può aiutarmi a calmare.





L’ora che non si fece mai

L’antefatto
Mentre attendo la Sozza, il parlàfono vibra e recita Lidia a chiare lettere.
Come sei messo?, dormi?, disturbo?, è che non riesco a prendere sonno, ma Lidia stai tranquilla che capita anche a me, e tu cosa fai in quei casi?, cosa prendi?, ma io mi faccio un numero x di canne e poi mi masturbo e a volte serve, mi sono masturbata già anche io, Tazio, ma non serve e le canne sai che non sono il mio genere, sei nuda? (risata) ma che nuda, ho il pigiama, e tu sei nudo?, se non voglio che mi arrestino no, ma dove sei?, in macchina parcheggiato, ma aspetti qualcuno allora cazzo, dai che chiudo, ma che qualcuno Lidia!, vengo da te, ti va?, sì che mi va, ma non volevo scombinarti i piani, no, ma quali piani, anzi, sarei proprio felice di stare un po’ con te, allora dai, ti aspetto.
Barbara devi andare affanculo stasera, mi spiace.

Il fatto

“Era a Luchino che piaceva violento e, ok, anche a me piace sentire male, ma non ci vado pazza come ci andava lui che una volta mi ha trafitto un capezzolo con un ago da siringa e a momenti viene facendolo, ma a me piace anche farlo dolcemente, rilassatamente, lentamente…” – e mi bacia morbidissima sulle labbra mentre io siedo sul Busnelli rosso col cazzo di fuori e lei lo cavalca lentissima essendosi tolta solo i pantaloncini del pigiamino.
Si inarca dolcissima in avanti, poi all’indietro, poi ancheggia a destra e sinistra, ma ogni movimento è fatto quasi impercettibilmente e ci cerchiamo le mani e ci baciamo, morbidi, parlando sottovoce come se qualcuno ci potesse sentire, Bill Evans che suona (è il mio paradiso e lei lo sa), la luce bassa di un pallone di plexyglass e specchietti di Patrizia Volpato designer.

Poi la maglina del pigiama passa sopra la testa e resta nuda. E io, per un attimo intensissimo la amo con tutto me stesso, drogato di tanta acerba bellezza così rara in una donna della sua età. La abbraccio e le carezzo la schiena calda, liscia, solcata da quelle ossa tentatrici che ne compongono la spina dorsale e voglio togliermi la camicia e sentirla e lei mi aiuta e restiamo nudi sul Busnelli, abbracciati morbidamente e rispettosamente, muovendoci appena, con qualche stilema sessualstilistico di grande potenza, come il suo arretrare appoggiando le mani alle mie ginocchia, un po’ per mostrarsi, un po’ per sentire meglio di dentro, nella carne, la mia carne.

Poi si richiude in avanti come una conchiglia fatata, inarcandosi e sussurrandomi all’orecchio che le piace come non le era mai piaciuto con me, che le piace così tanto da dimenticare tutte le volte che le è piaciuto da pazzi con un uomo e io respiro forte, baciandola, accarezzandole le braccia, correndo sui glutei tesissimi per seguirne le forme affascinanti.

“Ti piace il mio sedere?” chiede con orgogliosa felicità osservandosi le terga da sopra la spalla e io rispondo di sì baciandola e lei aggiunge appena appena di labiale “diventa bellissimo quando faccio l’amore così” ed è vero, è proprio vero, è molto vero, è stupendo. Poi sale e fa sgusciare l’uccello e se lo punta nel culo, scendendo lentissima, guidandolo con la mano, impiegando moltissimo tempo a farlo entrare tutto, mugolando elegante, sino a dire “mi brucia, ma guarda che bello…tutto dentro…non è bellissimo da vedere?...” ed io resto senza fiato mentre quell’ancheggiare di classe riprende con pari dolcezza e da allora è un continuo cambiare da davanti a dietro, da dietro a davanti, mentre avverto che la carne si fa rovente e molle e la abbraccio, stringendola, mentre ci baciamo garbatamente, seppure profondamente. Poi sale, lo fa scivolare fuori dal culo, si inginocchia tra le mie gambe e lo prende in bocca, succhiandolo lentamente e mormorando “tu ci vai pazzo per queste cose, vero?.... tu ti butti via per queste cose…” e poi risale, riassestandoselo con maggior agio nell’ano.

“Tu sei convinto che le porcherie che ti piacciono le sappiano fare solo certe vuote donne relitto… e ti butti via con loro… senza niente in cambio…sciogliendoti nelle loro pozzanghere torbide” – e affonda i colpi più decisa, stringendo l’ano ritmicamente.

“E’ una dichiarazione?...” - chiedo sorridendo per stemperare l’aria e rallentare la voglia di venirle nel culo e lei mi risponde pericolosa – “se non c’è altro modo per farti capire le cose, bisogna dichiarartele o…op….pure mettertele per iscritto…” – e spinge fonda fino a schiacciarmi forte i coglioni e quel dolorino è un bacio vellutato.
Silenzio.
Sudore.
Respiro.

“Da quant’è che non suoni più il piano di notte nei locali, da solo?” – mi chiede facendomi sentire come uno dei Favolosi Baker – “da una vita, da quando non ho più una donna che si bagna ascoltandomi, appoggiata al pianoforte…” – “io voglio bagnarmi, voglio bagnarmi la fica, le cosce, fino alle dita dei piedi, voglio che suoni per me, voglio venire in mezzo a tutti senza toccarmi, mentre suoni" – e questo mi piace, molto, mi piace molto, mi piace, mi piace, mi fa salire l’eccitazione a mille.

“Non ti buttare via Tazio. Sei un animale troppo speciale e se ti e….e….sstingu…i…” – “se mi estinguo?” – “vengo…. spingi….vieni con me…vienimi dentro….” – e tutto diventa furia, chiusi in un abbraccio mortale, le anche che si disarticolano, velocissimi, il canto, il suo, il mio, strettissimi, fusi, venendo, mischiando i liquidi corporali in un gesto di infinito amore, di quell’amore che parte da quel malinconico buco nero che tutti conoscete, così fondo e così dolce e così struggente e così inesistente, ma essenziale per essere vivi almeno tre minuti.

***

“Dormi qui stanotte” – mi chiede stesa, scomposta, nuda sul Busnelli accanto a me, carezzandomi il viso.
Le carezze sul viso. Leggere, avvolgenti, calde lisce, con quelle piccole manine profumate di sesso e di amore e io come un coglione piango con gli occhi chiusi, facendo di sì con la testa.

Nessuno commenta le mie lacrime.
Nessuno.
Né Bill Evans, né la Volpato, né Busnelli.
Una bocca calda e sottile le bacia, asciugandole.

“Ricomincerò a suonare da solo il piano in giro per locali, di notte” – le dico pianissimo – “E io ti troverò” – “Nuda sotto l’abito da sera?” – chiedo sorridendo a occhi chiusi – “Compleamente… voglio che tu mi veda le dita dei piedi bagnate…” – e mi bacia sorridendo calda.

E poi si va a dormire nudi, abbracciati.
E poi il gallo canta.
Ma nessuno mi tradisce.
Non oggi, almeno.
No, oggi no.

martedì 26 maggio 2015

Menesbattoicoglioniditutto

Partire? Dormire? Sognare? Sicuramente restare, causa impraticabilità del campo del Nizza F.C., dove per F.C. non si intende ‘football club’, ma ‘fica cannibale’. Match parigini rimandati, intensamente culoretrattili per parte di Madame a mio avviso, ma tanto non c’è problema, io aspetto eh, e come no, ci mancherebbe. Sempre pronti qui, scherziamo? Eh. Madame chiama e Tazio, Zat!, risponde. Ma vaffanculo, va.

Con voi amisgi, però, mi corre e mi urge l’obbligo di esternare di cuore un signor menesbattoicoglioniditutto, che ve lo spiego subito. Ma quale Parigi scopaiola esagerata? Ma quale sesso e carnazza? Io menesbattoicoglioniditutto e di certi francesismi. Io voglio rifarmi una vita, altro che. La voglio nella mitica Palata Pepoli, dove trovarmi da fare il tipografo lì (non è il massimo lo so, ma è un lavoro) e conoscere una donna pingue, irsuta e baffuta che mi trasmetta tanta, tanta, tanta, tanta, serenità. Me la voglio rifare anche io una vita, cazzo. E chi sono io?

Non dico a Modena che sarebbe troppissimo per me, troppo ambizioso, troppo lussuoso e impegnativo, fuori dalla mia portata, ma a Palata Pepoli? Vogliamo parlarne? A Palata Pepoli penso mi spetti di diritto una emozionante vita nuova di zecca lontana dai dolori e pervasa dalla tranquillità tipografica pingue ed irsuta. No?
Vaffanculo Skiz, marcisci a Modena, cazzomerda.
L’ho presa bene con la Chiara, diciamo. Sì. Da adulto responsabile e pacato.
Da adulto che intona gregoriano un soave “Menesbattoicoglionibus” agitando le dita medie.

Beh, poi in termini di cose prese bene, devo dire che la cumpa tutta ha preso parecchio benino il fatto che (non) mi sia chiavato la AntonellaAltruiChi? (ma, alla fine, è così importante la verità? Ma naaaaa, eddai...) e che abbia anche tocciato il Savoiardone Imperiale nella chiacchierata sorca della Kikka, che l’unico a non saperla chiacchierata ero io, ma guarda come gira il mondo.
I Miei Migliori Amici Sa-aaarti e Virus mi erigeranno un gigantesco bustino bronzeo a forma di merda con ricciolo, ne sono certo. Menesbattoicoglioni.

GQ mi chiede come avrà fatto a saperlo il Sa-aaarti? Ma Giqqù, ma ti rendi pallidamente conto di che razza di stronzaio travestito da persone per bene c’è qua? Ipotesi a caso: la Kikka che dice al Virus di me e della Anto, il Virus che contrito lo dice al Sa-aaarti amico del colon da sempre, mentre in parallelo l’Umbe Mite Lupetto Culattone confida alla Papagirl che mi sono trapanato la Kikka e la Papagirl lo dice alla Maggie che. Vigliaccamente velenosa, avvisa il Virus in una crociata antiTazio e il Virus scopre di essere, per l’ennesima volta, cornuto marcio ed in ogni passaggio ciascuno ci carica una briscola, perché è sempre troppo poco, perché bisogna essere i messaggeri della madre di tutte le notizie, chiccazzo se ne frega se sono vere?
Vuoi che intrecci a cazzo e continui?
Tanto per un intreccio o per l’altro lo becco secco quello buono, non dubitare.
Fortuna che sono saggio e adulto e menesbattoicoglioni, mene.

Concludo dicendo una sola cosa, amisgi; una sola e parecchio importante.
Non parlate MAI male della Uno FIAT 45 seconda serie tre porte del 1987. Mai.
Ci si chiava dentro meglio che in un salotto e quando la pioggia scende a sasso come stanotte, la sensazione che tra te e la pioggia ci siano solo zero virgola uno millimetri di lamiera è inebriante.
Ti sembra che ogni momento sia buono per esordire nudo sotto l’acquazzone davanti alla Basilica dei Santissimi Trapani a Percussione.


La Barbara, proprietaria della suddetta Uno 45 impagabile, sa quello che fa amisgi.
D’accordo, è un po’ border line sotto l’aspetto igiene personale, che ieri sera nella Uno 45 ce n’era di tutti i gusti: dal pizzicagnolo gorgonzoliero, al venditore di baccalà, al venditore di ascelle importantissime, il tutto avvolto in una densa armatura di soffrittone rancido, ma al di là di queste delizie da intenditori, amisgi, c’è da sottolineare con lo Stabilo Boss giallo che la signorina chiava come una macchina sofisticatissima progettata per chiavare da un pool di scienziati che sanno proprio bene come deve fare una macchina a chiavare.

E io menesonosbattutoicoglioniditutto e ho realizzato che questa è la mia Verde Vallata: una Uno 45 3p marcia con dentro una furia del sesso che di farsi chiavare in piazza non gliene fotte un cazzo perché quando la sorca chiama, la Barbarazza risponde.
E risponde a tono.
E che tono, cazzomerda.

Questo è quello che ho da raccontarvi stasera, in attesa che si faccia quell’ora in cui potrò condurre la Barbazza da me per una sgrossata con la canna di gomma e lo shampoo da cani e poi via, alla allegra monta tra le mie coltri senza essere costretto a buttarle già da stanotte.

Ed è una signora soddisfazione ritrovarsi alla mia età impegnato in siffatta guisa, cribbio che traguardo.
Certo non sarà Modena, per carità, ma un bel Sassuolo c’è tutto eh.
Eh.

D’altra parte, non devo mai dimenticare: io menesbattoicoglioniditutto.
Di tutto.
Buonanotte.