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venerdì 23 settembre 2016

Le dolci note dell'addio

Bonsuar, hello, Привет, todo bien? gudivening.
E quando l’aria della sera di settembre si fa profumata di week end, il Tazio prenota un signor volo per domani, destinazione Praga. Lo prenota sola andata, che se ci pensate costa ben meno di un’andata e ritorno. Lo prenota fremente come una scolaretta con le mutandine bianche bagnate, cullato dalle note dell’addio, sul sogno di quell’aeroporto da leccarsi i baffi con la testa nel water della tualèt pubica oltre che pubblica, che prende il nome di Ruzyně, che se ha fatto la Ruzyně basterebbe una scartozzatina e due mani di minio, invece di fare le vittime e intitolare l’aeroporto al fenomeno, ma son zingari, cechi, si sa.
Chi sa fare fa, chi non sa fare intitola. E’ così.

Ma, mi chiederete frementi come prepuzi imbizzarriti al getto dell’aria compressa, ma da dove lo hai prenotato questo economico volo per Praga o Sublime?
Ma da casa, amisgi, che speru numerossi angora mi seguite da cassa.
Eccome mai ero a cassa?

Perché prima di pranzo, esattamente alle ore undici e trentanove, in preda ad un guizzo di scaltrezza, sono entrato nell’ufficio del mio capo, che stava capando come un pazzo, rassegnando le mie dimissioni.
Una festa, guardate, che non vi dico.
Un discorso degno di un politico all’Altare della Patria, denso di rinfacciamenti, di preoccupazioni nel non saper dire come dirlo a chi colà mi ha avvitato, delusione, amarezza, ma pan e vin non ti mancava, l’insalata era nell’orto, Marziomao perché sei insorto?
DOVE TROVERAI UN ALTRO POSTO COME QUESTO OTTATZIO?
Ed è vero eh, oh come è vero. Difficile da trovarne un altro.

Beh ve la faccio corta, alle quattordici e ventisette ero a casa a gustare due etti e mezzo di spaghettini con pomodorini freschi, aglio, basilico e pecorao che Gesù è sceso e ha diviso in due il piatto con la sua SSL, Santa Spada Laser. Sapete com’è fatto, no?
E dopo il lauto pasto, mi sono colgato e appena desto ho detto: ma checcazzo ci sto a fare qua, è ora di cambiare aria, via, via, via.

E allora via, domani all’imbrunire, per ore due volare, poi in Cechia atterrare, taxi rapire e in albergo ultralussosfrenato dimorare, dopo cena signorile in ristorante francese consumare.
Troiagione non pervenuta, ma perverrà.

E se lei perverrà, anche io perverrò.


Bis bald somarelli erotici.










P.S.
Errorazzo.
Si dice brzy se uvidime.
Pena controllato

giovedì 22 settembre 2016

Mercoledì sera degli schiaffi e dello squallore

E allora raggiungo quell’antro della strega, come da indicazioni telefoniche cellulari e la trovo che mi aspetta nel corridoio del seminterrato, in ciabatte e prendisole turchese di cui aveva infilato una pinza della gonna nell’elastico delle mutande, al fine di accorciarne la lunghezza e scoprire le dozzinali gambe abbronzatissime. Ciabatta sciatta fino a una porta di metallo, capelli di un nero corvino paradossale, gli occhiali da sole (di notte?) in testa come fossero un cerchiello e poi entriamo. Pago il dovuto, mi spoglio nudo che già c’avevo il cazzo barzotto per la situazione e lei, dopo aver armeggiato con delle cose su un mobiletto di plastica ad incastro, in un guizzo si priva del prendisole e scopre due mammellone morbide, dai capezzoli grandi e scuri, che smottano sul ventre in una foggia erotica, ancor più oscena per la presenza di un tanga ingrigito dal quale facevano capolino nerissimi e folti peli pubici.
E dopo essersi rumorosamente liberata delle ciabatte ciabattanti si insinua sul letto tra le mie gambe senza uno sguardo, prendendomi in bocca il cazzo, cominciando a succhiare con qualche suono qui e lì.

“Lanapoletana” come è nota a tutti.

Età indecifrabile, forse compresa tra i quaranta e i quarantacinque. Sublime suggitrice di minchia cabriolet, con supplemento. Niente ingoio, solo succhio a risucchio e mano sapiente che lavora le palle. Nessuna parola, nessuna occhiata. Le tette dondolano sulle mie cosce e io decido di fare l’ospite, il turista, non mi impongo, lascio che faccia nei suoi tempi, con quei risucchi sempre più aggressivi, con quella boccona calda e bagnata, con quella mano inanellata come quella della madonnadelcarminebenedettissimo, con quella pelle scurissima e macchiata di bellissime efelidi e vengo, vengo silenzioso, vengo tutto quel che c’era da venire mentre la mano sostituiva la bocca, segando alla giusta intonazione, né troppo, né troppo poco.
Poi salviette umidificate a mazzetti, il turchese che copre l’ambra, mi rivesto, usciamo, la seguo, poi fuori, ciao, ciao, fine.

***
Era mercoledì che era serata carte al Bar di Bistrazzo, ma anche se il Sarti era là niente chiavare perché domani si lavora, adesso che ha un lavoro part-time. Mondo fermo, impressionati, che l’Antonella lavora, si hai capito bene mondo, ella la-vo-ra, giuro.
Vieni qui a trovarmi, stocazzo Antonella, mica sono io che cciòiprobblemi mia cara, quella sei tu, quindi o esci o stai, cazzi tuoi, Tazio a domicilio stop, fine, nisba.
E si è incazzata poiché “non capisco”.
Fine dell’amore cuore vita gioia tesoro, vaffanculo.

E allora sono uscito e mi sono ricordato della Lanapoletana, che per ragioni ceche e slovacche non ho mai frequentato.

E oggi è giovedì, penultimo giorno di merda della settimana di merda.

Dopo chiamo la Ade.
Solo lei può rovesciare il tavolo.

Solo lei.

martedì 20 settembre 2016

Situazioni catartofiche

Dovete capire che mi si sono spappolati i coglioni a far questa vita dimmerda, su e giù come un cazzone e poi otto, dieci, dodici, QUATTORDICI ore a menar il torrone con le tomaie per un pugno di dollari al mese, è una follia, è anestesia, è dislessia, è narcolessia, aerofagia, dispnea, cacofonia, cacotuazia, defecopenia, ecco sì, è soprattutto quella, che mi sono cagato la beca abbestia di ‘sta vita di merda qua, che lì dentro nessuna me la dà, ma nemmeno me la presta che poi gliela lavo e gliela do indietro e il capo che capa e che tento di riportare nella dimensione terrestre e lui mi spiega (a me, lui, spiega) che non va, che non può funzionare, che ne parleremo, ma adesso andiam a lavorare le tomaie, l’erpice, le pliche anali, le ragadi, le efelidi, le supposte di aria compressa e i divaricatori vaginali per i cincillà, tutti giù alla filanda, dai Tazio, dai.
Ma in che cazzo di buco dimmerda di agenzia sono?
Non va Internet? Massì dai, ragazzi!, facciamo come al solito, e come cazzo si fa di solito?, con gli stoppini alati che il capo li spara col culo fuori dalla finestra e essi si librano, cullati dalla brezza e entro il mese arrivano a Domiziopoli col loro agio, che è un attimo, che son solo dieci chilometri.

Un attimo.
E’ un attimo che mandi tutti affanculo.
E senza Alice.
Quella se va, me la metto giù a pecora.
Se va eh. Se no stoppini.
O stoPino che nel culo vostro esso pigna.

Ma cazzomerda.

A vag a cà.