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sabato 18 febbraio 2017

Ermeneutica della fica ed altri deliri

Ma senti, ma tu di farti una famiglia ci pensi, cioè sì, certo, afferma il Sa-aaarti che va a puttane stradali tutte le sere perché il pompino straniero della buona notte lo rilassa, beh, dico io, io non ci penso o meglio ci penso e mi reputo fortunato a non averne una, ma perchè, chiede il Max con in mano il ventiquattresimo limoncello, perché ci sono già io a deludere le mie attese, non ho bisogno di supporti, tantomeno generati da me, sei un cinico del cazzo Taziun, mi risponde buttando giù quel simil catarro giallastro, boh, dico io, mi avete chiesto e vi ho detto, no, per me è importante invece, dice il verginale Umbe che ha già mari di progetti nel cassetto, con protagonisti lui e la sua nubenda inviolabile, ma poi arriva tale Letizia, nuova cameriera e, quando va via, il Sa-aaarti commenta “bella figa, al che il Max dice ma figa o fica? e il Sa-aaarti sentenzia: figa, è solo il Taz e i porno che la chiamano fica.

Momento.
Il Professor Tazianti si sente chiamato in causa.
A mio avviso la realtà dei fatti è che si dice fica, poiché probabilmente il lemma deriva da ficcare, con esplicito riferimento all’atto della penetrazione. Ma allora siamo tutti dei salami al mondo che la chiamiamo figa, fiigona, figata eccetera, incalza l’incolto Sa-aaarti. Forse sì, dico io, magarie perchè il fico maturo che si spacca e ricorda la fregna, ed in dialetto lo si è storpiato con fig, fico.
E allora quando si dice che un uomo è un figo? Anche lì, incalzo andando a braccio senza il benché minino riferimento, la storpiatura nasce da un’ipotetica azione che questo bell’uomo, irresistibile appena meno del sottoscritto, compie nell’organo femminile: lo ficco dentro. Il suo ampio agire, poi, lo identifica col suo atto, da cui ficco, fico.

“A vag a cà” dice il barcollante Max con un sorrisetto e una paccona sulla mia schiena.
Umbe si alza, saluta,e lo segue. Io e il Sa-aaarti ci guardiamo.
“Ce ne facciamo una in due?” propongo in un soffio.
“Nden” dice il Sa-aaarti, alzandosi.

E siamo andati a puttane stradali.
Pompino a due cazzi, come si conviene agli ermeneuti.

martedì 14 febbraio 2017

Lasagne al ragù di carne umana.


E li ho chiamati tutti io, li ho chiamati. Come direbbe il Saa-arti.
Sì, nel sabato taziale, al Centrale, seduto a tracannare americani come una fogna alcolizzata.
Prima il Max, poi Virus, poi Sarti, poi Umbe, poi Zac.
Titolo dell’sms: Tazio vuole gli sputi in faccia, alla Solita, ore 13:00, offre lui.
E l’Umbe mi risponde a scatto con un faccino emoticon che sorride e mi chiede se deve avvisare anche il Costa.

Il Costa??
Questa è troppo e allora lo chiamo, sì il Costa è qui, si fa una settimana ogni tre all’incirca, ma non lo sapevi? E come cazzo faccio a saperlo se nessuno mi caga, o Umbe della Malora, c’hai ragione è che è un casino, ma hai fatto bene sai a convocarci tutti, davvero sai?

Davvero, so?
E come cazzo faccio a saperlo che nessuno mi caga?

Speravo in un clima da OK corral, ma invece i guasconi erano grigi, né neri, né rossi.
Erano tesi, impauriti, silenti, quasi rassegnati. Però, mi son detto, se non c’avevano voglia, potevano non venire.

E ci sediamo.

Attacco la pappardella, che tanto c’ho in corpo sei americani, un prosecco e una canna e tutto mi viene fluido, fluido e scorrevole come il pus. O il catarro.  Parlo, parlo, parlo, racconto, specifico, evito di parlare delle fregne che NON dovrei conoscere e parlo e parlo. Poi taccio e mi bevo un bicchierozzo di rosso. E aspetto. Perché ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Sempre.

E così, a turno, come fossimo all’ONU, ciascuno fa il punto.
E mentre tutti parlano, guardo il Costa, pieno di tatuaggi, la barba lunga da hipster, i capelli ciuffanti di sopra e rasati ai lati. Incrociamo gli sguardi, ma son sguardi miti, tranquilli.

E mi rincuora che non solo il Tazio vive le sfighe, ma anche il resto del mondo: il Max invischiato in un matrimonio terribile sull’orlo della separazione. Il Saaa-arti mollato da quella psicopatica che ha addirittura cambiato residenza, correndo dietro ai coioni di un mantovano (non volante) che non si capisce chicazzè. Zac che ha mollato la tipa e adesso sta con una russa figa ultraterrena, probabilmente mignotta da soldi anche dico io, che fa la bartender all Gar[b]age. Si salva l’Umbe che pare che tutto vada bene sentimentalmente, ma di merda lavorativamente, mentre il Costa.

Il Costa è un enigma.
Che fai a Praga Costantì?
Bah, nzomm, c’ho na società che gestisce cose, robe di spettacolo sai, poi facciamo ang i video seccapita, showbizn nzomm.

E come te la passi? E faccio il segno dei soldi, ma è ovvio che se la passa interessantemente, visto che viaggia con un Lincoln Navigator nero lungo 30 metri, che manco Trump.
Bah, nzomm, potrepp anch andare meglio.

Cioè? Arrivare alla Solita con un traghetto della Tirrenia? E si ride. E non si capisce che cazzo fa, si capisce solo che parla correttamente in ceco e in inglese (correttamente come l’italiano o veramente correttamente, sì che l’ominide sia passato da nessuna a lingua parlata a una balcanica? Bah) e misteriosamente pare che una settimana ogni tre torni in Italia con l’astronave e bazzichi Bologna e anche Milano, oltre che qui.

Non chiedo per pietà della Cuggina, anche perché non me ne fotte un totale cazzo, ma l’Umbe per prenderlo pel culo fa emergere che con quella vetturetta ecologica raggiunge anche la Calabria Saudita, a volte.

Non indago.
Mangio, sapori antichi, la Marghe non c’è, ma anche lì non indago,  una roba alla volta.

Già sin qui non è stato poco.
No.


No, no.

domenica 12 febbraio 2017

Siluro


Venerdì tango.
Madame, che eleganza, siete splendida, oh monsieur anche voi non siete male e allora via tra sorrisi e pelle di schiena nuda, la salida, media luna, gancio, gancio, monsieur siete virtuoso, madame per voi questo ed altro, scarpe nere col cinturino, calze di microrete nere e il vestito nero lungo con la schiena nuda e una sola spalla coperta, con relativa manica.

Mi stanno invidiando tutti madame, risata golosa, non dica sciocchezze monsieur, semmai sono io l’invidia delle mie amiche laggiù, mi lusingate madame, gancio, media luna, baldosa, voi madame, siete pura emozione, ti devo dire una cosa Tazio, dimmi Marghe, quando mi dai del voi mi fai diventare… frizzante? Mugolo di piacere e le sussurro “avete un culo irresistibile madame”, “monsieur!”, cosa indossate sotto l’abito madame? Mutandine e le calze da danza monsieur, m’imbarazzate, con voce tremante e roca, gancio, stop alle danze, repentino, abbraccio, bacio di classe in mezzo alla pista, ma le lingue nelle bocche incollate danzano un loro caminito del tutto speciale.

***

A casa mia, nella notte tanguera, già nudi e famelici.
“Adoro leccarvi i piedi madame” – “saranno sudati. monsieur, mi sento in imbarazzo”, ma certo, fa nulla, scusate, ma vi tolgo io dall’imbarazzo madame, spalancate le gambe come una zoccola, che passo alla vostra ficona carnosa, che quella non v’imbarazza, ma non lo dico, lo faccio, allargandole le gambe a dismisura e deglutendo tutta quella carne tenera di femmina, succhiando, tirando, ossessivo, maniaco, per tutto il tempo che mi separa dal suo sussulto un po’ singhiozzato e contorto.

“Vieni” mi invita a mezza voce, scomposta, sudata, tirandomi per le braccia ed io ricerco facilmente un blando invito tra quella carne con suga e saliva e le riempio la sorca in un guizzo elettrizzante, la chiavo, sì la chiavo di brutto, di peso, di reni, di cazzo e coglioni, la pistono, la pompo, la fotto, la sbatto, la monto, la svango, la sformo, la allargo, la riempio e poi odo un bramire di pornocerva erotica in calore e allora accelero, perché la mia Dama deve provare l’orgasmo più squassante del globo e sono unghie nella mia schiena, bacino che accompagna il mio, gambe che mi abbracciano il culo, bocca aperta e occhi chiusi da cui il trucco si scioglie e si disfa, vene delle tempie, del collo, rughe e tendini e un imperativo assoluto “Vieni! Vieni! Vieni! Con me! Adesso! Vieni!” e come deluderla e frullo il mio cazzo di vene e pelle e cappella e le sborro nel più profondo dell’utero godendo con lei.

Ma continuo e scopo di ritmo, con la medesima durezza, “Ti è restato ancora duro…” ed io non rispondo ma la pompo, riprendo il ritmo del motore assatanato mentre lei accenna ad un brivido d’orgasmo a cui fa seguire un “Basta, tesoro, ti prego, basta, basta, basta…”.

E perché basta? Perché mi hai già fatta venire da impazzire, tesoro, vieni qui, abbracciami e io eseguo con ‘sta ceppa bizzarra che mi guarda con un occhio solo e mi dice “mbeh?” e ci facciamo le coccoline deliziose e poi, alla volta delle tre e ventidue vengo richiamato alla veglia, poiché domani è il compleanno di Davide, nipotino prodigio di un’intelligenza astrale e bellezza inumana al pari di qualsiasi bambino di tre anni per la nonna e allora via, nella notte, verso Margheritopoli, da dove la prelevai ieri sera, via nella nottr accompagnato da un racconto lento sulle gesta miracolose di quel nano che, domani, sarà il celebratissimo protagonista di un pranzone emiliano/lombardo in suo onore.

Buonanotte madame, buonanotte monsieur.
Ritorno calmo alla tana, rollandomi una canna bandita in sua presenza e medito lungo le mie aspettative e a com’è usuale il mio piegarle alla realtà, anche quando questa sarebbe assai bella se fosse, ma in realtà non è.

Padrona, feticista, sensuale ed ageè, intelligente, dagli appetiti sopiti poiché mai soddisfatti, ma che delizia taziocerebrale, ma poi siam sicuri?
Perché mi sa che sto per prendere l’ennesima inculata sonora da una bella e colta signora che di farmi da padrona (ad eccezione degli aspetti noiosi e fastidiosi del concetto) non ci sente nemmeno, ma nemmanco mai in vita sua ci si è dedicata, o soffermata per errore, perché a lei piace alla missionaria, che c’ha “l’anca” (penso a me che ne ho due, che eroe) e mi concede le sue estremità inferiori giusto perché la scarsa confidenza non le consente ancora di ritrarle a scatto con una seccata frase di noia, che a suo tempo arriverà e che buona st’erbetta nella notte frescazza e bisogna agire di sorpresa, prima di essere sorpresi, che di ‘sti tempi non se ne sente un gran di bisogno.

Ma tanto domani è sabato, il sabato taziale.
Va recuperato, con o senza padrona.
Anzi, senza vien anche meglio, secondo muà.