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lunedì 22 maggio 2017

Domenica, coda.



Un sussulto, ma di stupore credo, poi il dialogo a voce bassa, che siamo nella barca ormeggiata e intorno c’è il mondo che passa è domenica, tutti al porto, “E’ come un dito…”, sì è come un dito, Tea, ti ho infilato quello di silicone, il più piccolo, perché vedi, Tea, il culo va addestrato, lentamente, con piacere, dilatato, reso elastico, pronto ad aprirsi…, ma la mia porno solennità  poetica viene spezzata da “Chefffffffigata questo, l’ho visto in un porno, ma quanti cazzi ne hai di ‘sti affari?” e ride agitando irriverente la coda di vero crine di cavallo (che saranno capelli birmani maschili, se va di culo).

Ne ho tanti, Tea, rispondo pacato come un serial killer e osservo quell’inserto dorato a cui è legata l’elegante coda e penso a quella troiadimmerda della Chiara, che era suo, era il segno di una mai dichiarata appartenenza e sottomissione al Gran Maestro di Quercia Tronchea e poi guardo le chiappette della Tea nuda, che è stesa sul letto di cabina di questammerda che non va più in moto.

Stesa erotica come fosse la Porneleonora Pornoduse e allora le tolgo il silicone taglia XXS e prendo un S, lo ungo, glielo infilo lentamente nell’iperlubrificato ano, mentre lei fissa un punto a cazzo della cabina con un semi sorriso a bocca aperta, poi fa un “ahh” sottovoce, lento, giusto quando è dentro tutto, tutto nel culo, anche se piccolino, ma tutto dentro.

“Questo lo sento mooolto di più”, mi sussurra aprendo le gambe per toccare l’estremità gommosa rimasta di fuori, mentre io mi ungo la Tronkazia che si scappella e comincia a tirare dabbrava e appena tira metto di schiena la Tea, generando un rollio anomalo nella barcammerda, poi le divarico le gambine, le sputo sulla fichetta, che si schiude rosata per accogliere lo Smataflone Aureo e le scivolo sopra, sudatissimo come lei, che ci saranno 220°C dentro, e approfondisco l’argomentocazzeo nella carne viva, annusandole le ascelle, ancora evocanti un antico deodorante della doccia del mattino e spingo dentro il cazzo, ma che belle ruvide e sudate, le lecco eccitato, poi avverto nettamente sulla cappella il ripieno che serba nel buco odoroso del Culo Vergine e lei sorride, guardandomi, sussurrando “Come fosse una doppia…” per poi perdere l’uso della pornoparola youtubbara, lasciando spazio al rantolo contenuto, che si intensifica ad ogni affondo di Minchia Bronzea.


Sbatto dentro senza cura, alla cazzo, la sbatto perché voglio arrivarle alla cervice, voglio che gema di dolore e godimento e le tengo stretti i polsi sopra la testa, spingendo, strizzandola, palpandola senza stile e lei gode, abbandonando le sue gambine eleganti morte sul letto, mentre sbatto, sbatto, sbatto forte, la fotto spingendola al bordo del letto dal quale la testa le cade all’indietro e allora, senza richiesta, le tiro i capelli, fottendo come un cinghiale quella bianca creatura dal petto piatto e sbatto, pensando che è ora che la Coda del Divino Tazio cambi destinataria, vaffanculo la troiadimmerda e la Tea comincia a tremare come un vibratore e mi dice “Vengo..” solo di labiale.

Rimane a bocca aperta a tirar aria e grugnire il suo orgasmo, e io perforo, abbatto, sbatto, ruoto, freso e tornisco l’arrossata fica resa implume da un dozzinale rasoio, mentre la testa della Tea si solleva ad occhi rovesci ed io le sussurro “Voglio sborrarti in faccia…” cosa che, nell’evidenza, induce un inatteso protrarsi dell’orgasmo, rivelatosi solo in seguito, il secondo.


Attendo, attendo che l’onda si cheti per sgusciare dalla fica e presentarle un impiastricciato cazzo violaceo che lei succhia con non trascurabile devozione, succhia e sega, sbava, lecca, mentre io, col fiatone, ma con voce quasi immobile, sentenzio “La coda va guadagnata, Tea. Non è un plug qualsiasi.”
Lei sorride lurida, sudata, lucida, gonfia, torbida, molle, ad occhi socchiusi – “Bisogna farsi inculare, vero?” - chiede sozza con un filo di voce ansimante ed io scuoto la testa dissentendo, ma comincio a perdere il controllo e le stappo dal culo il plug e lo succhio, sa di culo, sa del suo Culo caldo e Vergine, accarezzo nemmeno tanto perifericamente l’ipotesi di troncarglielo nel retto senza tante liturgie, ma poi accantono, glielo spingo in gola sinché non sento stringere e non sento il conato sordo, poi arretro e poi mi distraggo perdendomi in quella nobile pratica della pompanza, quand’ecco che la mia ancella del Glande mi guarda negli occhi e mi mormora come uno Smiggle “Mi fa male…”, ostentando scellerata la coda delle Ancelle del Sacro Maestro, coda indossata senza permesso, mentre il Divino era assorto nella fottanza del cavo orale.



Brutta puttana che sei, almeno infilatela bene e ruoto senza cura sentendo il proiettile che viene deglutito dall’Ano Ancellare, gridolino, pecorina, aria succhiata tra i denti e esibizione, “Ho la coda…” sculando lenta a destra e manca, dovrei punirti maiala troia, sussurro a denti stretti – “Perché non lo fai?...” – mi provoca, culo all’aria e viso rosso nascosto dal braccio, la minchia sta per scoppiarmi, la sculaccio forte, lasciandole l’impronta della mano, senza toglierle il sorriso, cinque, sei, dieci, prendi puttana cagna, poi mi chino infoiato come un animale ad annusarle sotto le dita dei piedi e sì, sì porcoddio, delizia delle mie narici di porco, sudore di cagna troia lurida, intenso, dolciastro, mi stendo, cavalcami puttana, adesso sei mia, sei la mia ancella puttana e la Tea pompa, con quella coda che le esce dal culo e mi accarezza i coglioni, gemendo di dolore, ma pompa per farmi venire, “Voglio che vieni cazzo!” e inizia una cavalcata furiosa che la barca sbatte di poppa contro il moletto di merda e tin e tun e montami Tea troia.

Sbatti troia, che tanto il tono di voce controllato è andato vaffanculo, perché adesso si monta, si monta abbestia, come sculi cazzo di quella merda e lei sorride godendo come una pappagalla adultera, “Dai, vieni, vieni con me…”, sì ma prima dimmelo cosa sei, dimmelo – “Sono la tua schiava troia… vieni non toglierti… sono la tua troia…schiava…la tua puttana” e esplode come un ordigno deflagrante in un urlo roco di gola, stropicciandosi malamente i capezzoli e io contropompo le sue cavalcate e credo ci abbiano sentito nel giro di un chilometro, ma coi cazzi dei cavalli, amisgi, coi gran cazzi che le ho riempito la fica di sborra, coi cazzoni giganti e nodosi.
In faccia avevo detto ed in faccia ho perpretato, con suo sommo godimento, che di tale pratica pare ghiotta. E va ben, a ognuno il suo. A me, lo sapete, in faccia non piace.
Ma tutto il resto sì.




***
Quiete, riprendo i sensi.
“Alzati e mettiti in punta di piedi, spingendo in fuori il culo, che voglio guardarti”
Esegue, sorridendo da foto, tenendosi i nanoseni come se fossero quelli della Anderson.
Che arco, che profilo di culo con coda in controluce.
Sarà pure bruttina, sì. Ma che fisicata cazzo.

“Guarda che io non scherzavo: chi se la mette nel culo, questa coda, diventa la mia schiava”
“Ho capito sì” e lentamente, con un catalogo di facce del dolore che altro che emoj, si sfila dall’ano il Sacro Vessillo, carezzandosi il muscolo dolente con una faccia a bocca storta.
Poi indossa il suo slippino di cotone rosso e mi dice “Dai, vieni, sediamoci fuori che ci facciamo una birretta e prendiamo aria”.
Resto a osservarla ancora steso, che le vedo appena i piedi e le gambe.
Medito con nettezza ad una cosa. E quindi, sulla sua spinta, agisco.
Frugo farabutto nel suo zaino, che tanto col riflesso non mi vede.
Apro lo scarno portafogli, trovo i documenti.

Primofebbraiomillenovecentonovantanove.

Sollievo, è del secolo scorso.
Il mio stesso.
La mia Schiava è secolare.
La mia Birra è gelata.
La Barcammerda di Malavasi.
Per ora, l’unica inculata l’ho presa io, da Malavasi.
Ma cin Culatea, anche io ti lovvo.