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sabato 7 gennaio 2012

Ma perchè no?


Domiziopoli è una città a dir poco stupenda. Antichissima, ma allo stesso tempo modernissima. Verde, piena di monumenti e luoghi d’arte e di cultura, di eventi, di locali, di luoghi, di gente diversa.
Col sole è uno spettacolo, davvero.
Le domeniche diventano bellissime, europee, bostoniane.
Si può passeggiare ovunque, entrare in un parco, sedersi su una panchina, andare in un caffè letterario a bere qualcosa ascoltando la lettura di un libro da parte dell’autore.
E’ magnifica.

Da giovedì compongo delle idee progettuali assolutamente instabili ed imprecise, fatto salvo il nucleo portante dell’idea stessa, che ritengo sano e da tenere in seria considerazione meditativa: se mi trasferissi qui a Domiziopoli potrei dare una svolta significativa alla mia vita.
Senza distacchi traumatici, poiché da qui a quella grossa realtà sfolgorante e mirabolante che è il mio studio basta mezz’ora di macchina. Però in quella mezz’ora ci starebbero moltissime cose interessanti: nuove opportunità, nuovi stimoli, una vita più regolare, fatta di minori transumanze mie e della Domi, un riavvicinamento alla città ed ai suoi ritmi, distanza dal letame umano che voglio dimenticare.

Il centro, il polo, diventerebbe Domiziopoli ed il resto salvabile rimarrebbe un raggiungibile satellite.
Per dire che potrei non dover rinunciare nemmeno all’aperitivo della domenica mattina.
Per dire che con uno scooter ci si arriva in un lampo, meglio che in macchina.
Per dire che se fossi un po’ meno pigro, lo raggiungerei anche in bici, l’aperitivo.
Ammesso che valga proprio la pena raggiungere quell’aperitivo e non trovarsene uno nuovo qui.
Interessante, molto interessante questo quadro.

Farei mezz’ora ad andare e mezz’ora a tornare. Non mi sembra una cosa traumatica, no. E poi se mi trovassi una casa adeguata, potrei anche decidere che certe giornate lavoro da casa, nudo e con il cazzo barzotto scappellato a penzoloni perché, in quest’epoca e col mio lavoro, mica è necessario essere fisicamente presenti come se si ferrassero dei cavalli per mestiere.

Perché no.
Perché non cominciare a lavorarci a questa cosa.
Perché non prepararsi al crash dell’idea nel momento in cui comincerò a imparare i primi prezzi degli affitti?
Appena la Domi si sveglia gliene parlo.

Ma quanto cazzo dorme stamattina?
Ha!

giovedì 5 gennaio 2012

Fantasy on stage


Si chiama Marina e ha ventun’anni. E‘ stagista e Matt Matteo Matthew prova a farle fare la designer junior, ma junior è già troppo, credo che anche designer baby sia molto, forse è appena appena designer newborn.
Il disegno la strega, la incanta, la grafica la stupisce, la mirabola, la inebetisce. Ha un’aria trasognata da hippie in trip, mentre invece è una ragazza non di moda, timidissima, perbenissimo e indietrissimo rispetto a certe faine della sua età.

Mi siedo accanto a lei perché mi faccia vedere che straminchia sta combinando con dei layout che se andiamo avanti così li abbiamo pronti il giorno prima dell’armageddon. E lei apre intimidita i suoi esecutivini, mi mostra le modifichine che ha fatto ed è tutta compostina e noiosina e mentre lei parla pianino la mente del Tazier Pan comincia a vagare nelle lande della fantasia, ai confini dell’Isola che non c’è.

1794, Londra, piena rivoluzione industriale.
Lord Taziham ha assunto la piccola Gwendoline per un atto di umanità. La poverissima famiglia necessitava di un sostegno e la sua casa necessitava di una cameriera da aggiungere alle due guidate da Ms Carlton.
La moglie di Lord Tazhiam, Lady Domeetsianne, non vede di buon occhio l’entrata di Gwendoline a casa loro “perché è troppo rustica, impresentabile ai nostri amici altolocati, caro”.
Ma Lord Taziham aveva deciso di assumere quella timidissima e giovanissima villica.

Ms Carlton la formava con pugno di ferro in guanto di ferro e la poverina vacillava sotto la pressione psicologica dell’arcigna zitella del Sussex, sotto la pressione di un lavoro che faticava ad imparare e sotto le invettive acide di Lady Domeetsianne.
Vacillava e talvolta era insonne per la tensione.

Fu in una notte piovosa di marzo che Lord Taziham si trattenne a lungo in biblioteca a leggere alcuni testi a lui cari, quando udì uno scricchiolio provenire dalla scala di legno.
Uscì a controllare e sugli ultimi scalini vide Gwendoline, vestita della sola camicia da notte bianca, scalza, diretta verso la cucina.
“Gwendoline” disse Lord Taziham “come mai non sei nella tua camera a dormire?”
“Lord Taziham, non pensavo foste sveglio, perdonatemi. Non riesco a dormire e desideravo bere qualcosa di caldo. Vi supllico, Lord Taziham, non ditelo a Ms Carlton”

Lord Taziham, forse per le letture sin lì condotte, forse perché Lady Domeetsianne era indisponibile alla copula da tempo, provò un gran calore sprigionarsi dai suoi testicoli al pensiero che la piccola zotica indossasse solo la camicia da notte. E così decise di far valere il suo potere.

“Non dirò nulla a Ms Carlton se sarai gentile con me” sibilò viscido e ripugnante accarezzando il volto della giovane villica. La quale annuì guardandolo con occhi martiri e mani giunte.
E così Lord Taziham condusse la piccola Gwendoline nel buio sottoscala dove venivano custodite le provviste. Al lume di un mozzicone di candela Lord Taziham prese ad esplorare il corpo ignudo della piccola contadinella che, come egli già ebbe a indovinare, indossava solo la camicia da notte.
Si intrufolò tra le sue gambe, sbavando per la morbidezza dell’irsuto e generoso vello di peli, sbavando per il calore delle tenere labbra bagnate e odorose, sbavando per l’oscena postura che la piccola villica assumeva per agevolarlo. Prese a massaggiare con cautela il bottoncino sodo che svettava alla sommità degli erotici bargigli, guidando nel contempo la pargoletta mano a stringere il suo dardo, divenuto oramai duro come un osso.

Mormorava sozzure irripetibili alle verginali orecchie della giovinetta che, eccitata per simili descrizioni e per i sapienti massaggi che Lord Taziham dispensava alle sue umide pudende tremanti di lussuria, lasciò scappare una silente scorreggina e poi un’altra e poi un’altra ancora, oramai incapace di avere la meglio sul bocciolo che, tra le sue candide natiche, si schiudeva per il libertino e sudicio piacere.

Ero lì, con Lord Tazhiam che suggeva i capezzoli turgidi della giovane Gwendoline-Marina, quando un quesito ha spento la fiamma della candela sulle scale della dispensa.

“Come ti sembra?” mi chiede timorosa l’ex irsuta sozzetta notturna.
“Osceno” sentenzio con sincerità.

D’altra parte la Marina è qui per imparare.
E io ne avrei di cose da insegnarle.

Tempesta di cervelli


Ore 10:14.

“Oh Costa, stamattina ho fatto colazione dalla Slandronasudiciamaiala qui sotto e quella mi ha chiesto di te, di chi sei e di chi non sei, che fai, dove vai, con chi stai”
“Sèèèèè figuriamoci… minghiaoh quella non mi fila di pezza Tazio…”
“Forse c’è stato un disturbo nella comunicazione: ti dico che mi ha chiesto di te, somaro dimmerda e io ti ho tirato la volè ciccio. Le ho chiesto se è fidanzata e mi ha detto none, per cui scendi a prenderti un tramezzino che mi sei sciupato, così cominci a imburrarle le chiappe”
“Mì ma che veramente? Noooo, minghiaoh, noooo non mi inculi Tà, bastardissimo, tu mi stai prendendo per il culo che io scendevo e facevo una figura dimmerda” e ride come un ritardato, quale è.

Ripenso alla frase “non mi inculi Tà” e la trovo sciocchina, considerato il paio di seratine che ci siam fatti, ma c’è il Loca e sorvolo. Mi limito a porgli un quesito.

“Ma perché cazzo ti ho ri-assunto io? Dimmi che non ti ho detto ‘perché sei intelligente’ ti supplico Lotar, dimmi che non ero così ubriaco da avertelo detto”
“Mì, ma allora è vero? Minchia non ci sto a capire più una minchia, ma è vero o no che la tipa ti ha chiesto”
“Fai la minchia che vuoi Bubu, io dirtelo te l’ho detto, la volè te l’ho tirata, cazzi tuoi”
Lotarcosta ride e aggiunge “Mò mi vado a farmi un caffettazzo al bar”
“Oh non occorre che mi ringrazi, Godzilla, sai?”
“Grazie Taz, sei come un padre per me, veramente” ed è talmente buono e paciocco e testicolo che non riesci a menarlo con un attizzatoio, non riesci.

Poi, sul fare della fine della dotta conversazione, quella troia del Loca se ne esce sibilante.
“Oh Tà e con la rossa ci ficchi ancora?”

Ci ficchi ancora. Letteratura sublime.

“Minghia e chi è ‘sta rrossa” chiede il RinghioCosta de noantri con lo sguardo della mucca che guarda passare il treno.

“Ci vediamo, sì” rispondo al Loca
“Oh chi è ‘sta rrossa” torna a chiedere RinghioCosta.
“Ci vediamo….” mi fa il verso il Loca e ride.
“Oh chi è ‘sta rrossa” torna a chiedere RinghioCosta.
“Cioè te la chiavi” insiste il Loca col sorriso a lama di Jolly Joker.
“Oh chi è ‘sta rrossa” torna a chiedere RinghioCosta.
“Io sono troppo signore per violare la riservatezza. Chiedi a tua morosa se è così o no.” rispondo cercando la rissa, Zack ride come un coyote e il Loca a due mani fa il dito medio.
“Oh chi è ‘sta rrossa” torna a chiedere RinghioCosta.
“Perché non scendi dalla tua morosa nuova Coso?” chiedo a a RinghioCosta.
“MINGHIOH UNA DOMANDA OFFATTO CHE TUTTI SAPETE CHI CAZZO E’ STA CAZZO DI RROSCIA E IO NO CHE C’E’ IL QUARTO SEGRETO DI CERUSALEMM SU STA ROSCIA CHE SOLO IO NON LO DOVEVO SAPERE?”

Il Quarto Segreto di Gerusalemme.
Il Quarto Segreto di Gerusalemme è, seguendo la logica con cui è stato citato dall’Emerito Costa, una regola degli Alieni che copre persone e cose rendendole non conoscibili al Costa. Per dire, io invoco sui cazzi miei il IV SDG e quindi TUTTI possono saperli, tranne il Costa.
Ma che cazzo si fuma il Guascone, peggiora ogni giorno.

“E’mia morosa Costa, per cui non chiamarla più ‘sta cazzo di rossa’ ”
“Scusa Taz ma che cazzo ne sapevo io se non mi rispondevate nessuno”
“Ok. Adesso lo sai” e Costa si rimette a posto con la sedia, facendo il “va bene va bene” con le mani.

Poi io esco dal loro antro e sento correre le rotelle della sedia sul laminato e una voce di somaro che bisbiglia sottovoce.
“Oh chi è ‘sta rrossa”
“Sua morosa” risponde Zack.
“E HO CAPIIIIIIIIIIIIIIIIITOOOO MINCHIA MA IO VOGLIO SAPERE CHI-E’-STA-ROSH” urlando sottovoce.
Silenzio.
Silenzio.
“Sua morosa” risponde il Loca.
“IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIHHHHH  EHOCCAPIT MANNATAVANAPIGLIA’NTELCULOTUTTOQUANTI” urla sottovoce.

Dalla porta del mio ufficio dico forte: “Anche io Costa?”
“Nono Tà e tu che c’entri?”
“Sono suo moroso”
“E minghia che non lo so?”

 Tempesta di cervelli.

Giovedì


 Ore 07:24.
“Ciao Susy”
“Ciao Tazio”
“Mi fai un caffè americano?”
“Sì”

Zoccoli bianchi del Dr.Scholl, di quelli chiusi davanti come quelli che portavano una volta gli infermieri, collant rosso scuro, minigonna stampata tartan rossa, nera e bianca e poi camicetta nera, che ne avrai comperato uno stock, porca troia, che sono tutte uguali e cambia solo il colore.
Dire che la camicetta è aperta sul davanti è un eufemismo, perché sarebbe corretto dire che della camicetta sono chiusi solo gli ultimi due bottoni. Pelle, rotolini, mammelle. Ti monterei a novanta sul banco.
Hai la faccia gonfia, le borse, chissà che vaccate hai fatto stanotte, Sudiciamaiala. Se stai zitta e non proferisci parola hai delle grosse chance di farmi diventare dura la minchia mentre bevo il caffè.

Ma tu queste chance le pisci, le stracci.
E parli.
Pulendo il bancone a destra e a sinistra di dove sono io, in modo tale che io pensi che tutto è pulito tranne dove io sto bevendo il caffè. E ti allunghi e quelle sporte si comprimono, si stirano, assumono nuove forme di pelle e carne soffice sulla quale schizzerei i miei omini anche adesso.
E continui a parlare.

“Senti ti posso chiedere una cosa?”
“Dimmi”
“Ma il tipo con cui sei sceso ieri a prendere il caffè lavora con te?”

Il tipo è il Costa.

“Sì” rispondo essenziale. Ma poi indago, contro la mia volontà.
“Perché?” chiedo con tutta la cortesia insufficiente che possiedo.
“No, niente, è che non avevo capito che lavorasse con te”
Risposta da demente, ovviamente.

“Si chiama Costa” dico bevendo l’ultimo goccio.
“Costa? Ma di cognome?”

Sì, di cognome. E’ il proprietario della Costa Crociere, appunto, ma gli piace fare il coglionazzo su da me.
“Ma no. Si chiama Costantino e tutti lo chiamano Costa”
“Ahhhh Costantino, come Vitaliano!”

“Sei fidanzata Susy?”
“No”
“Allora te lo mando giù, dopo” e ghigno.
“No, ma perché, oh no eh, che poi si fa delle idee strane, no dai”

Si fa delle idee strane.
Cioè, spiegami bagascia: tu stai qui a dondolare le mammelle senza reggiseno e a mostrare il perizoma che ti separa le mele del culo e io se salgo a dire al Costa che la tipa del bar gli fa buono quello “si fa le idee strane” ?

E’ giovedì. Bon jour.

mercoledì 4 gennaio 2012

Canarie mon amour



Canarie, Gran Canaria, spiaggia chiamata El Oasis, vicina a Mas Palomas e alla nota Playa del Inglès, sud dell’isola. In mezzo alle dune che potete ben riconoscere nella allegata mappa di Google (dio se son preciso su ‘ste cose) si verificano, con arcinota fama internazionale, simili delizie dell’esibizionismo e del voyeurismo.
Un paradiso per me e Viaggiatore, sì.
Per fortuna che c’è chi, seppur in ferie, lavora con la cam nascosta.
Rendiamogli grazie.

Ovaie


La Betta viene a farmi firmare un’emorragia di danaro e così si siede davanti a me e io firmo.
Firmo e mi sento di dirle una cosa, la prima cosa con un senso compiuto attorno a questa sorta di flirt salumaio che abbiamo e che, sicuramente, non porterà a nulla, ma è bello anche flirtare per non andare da nessuna parte.

“Betta, non ne posso più, sai?”
“Di cosa?”
“Mi manca da morire guardarti i piedi, che tu c’hai dei piedi che sono una poesia”
“I miei piedi??”
“Sì. Ti penso ancora con quegli zoccoletti fottimifottimi e mi commuovo…”
“Mo Dio Tazio, ma te ce l’hai qua eh” mi dice con un accento che se Fellini fosse vivo l’avremmo già persa e mi fa il signorile segno della vagina con due dita, appoggiandole alla fronte, come un terzo occhio.

“Sé” dico io, sdrammatizzando “per fortuna non ce l’ho lì, sai che nervosone ad averla e non riuscire a leccarla?” chioso con grazia dialettica e signorilità culturale, proseguendo poi sul tema “e comunque non parlavo di patacca, parlavo di piedi, signora”.

“St’estate vengo a lavorare con gli stivali di gomma, guarda” mi dice dispettosa la Bella Carnazzona Sessuale. E io compongo un pensierino attorno al profumo serale che preferisco mantenere privato.
“Se tu fossi buona me li faresti vedere, Betta” aggiungo con serietà insostenibile.
“Sé, te li faccio vedere, che se ci vedono ci ricoverano al manicomio tutti e due”
“Non ci sono più i manicomi Elisabetta”
“E lo so! E che ce ne sarebbe TANTO DI BISOGNO! ce ne sarebbe!” mi dice con l’occhio da pazza riferendosi, evidentemente, a me.
Poi mi saluta e torna al pezzo.

Medito.
Poi prendo il parlàfono e compongo un messaggino.
Destinatario: Domi.
Testo: “Amore, ho il demonio nelle mutande oggi”
E poi guardo fuori dalla finestra lo skyline del paesone della bassa grassa e maiala. Incantevole.
Dopo un minuto il parlàfono vibra di piacere, causa messaggino entrato nello sfintere.

Mittente: Domi.
Testo: “Amore, resisti. Stasera ti faccio un esorcismo molto potente che vedrai funzionerà. :-)”

La Domi.
Le leccherei le ovaie.

Sindrome del pezzo di merda


Al termine di uno sfizioso pasto costituito da un panino schiacciato con salsa piccante messicana e salame piccante, accompagnato da una gustosissima Tennent’s, mi sono avventurato in alcune riflessioni che a mio avviso meritano di essere fatte, specie dalle placide ripe emotive sulle quali giaccio.

Ripercorrevo quest’ultimo anno, di cui ho lasciato pressoché costante traccia nei miei scritti (e mi rammarico che la maggior parte di essi non sarà importabile qui dentro, causa incompatibilità di schemi xml) e scorrendo mnemonicamente le presenze della mia vita ho notato un affollarsi febbrile, quasi formichesco, forse piattolesco, delle mogli dei miei stimatissimi non amici.
Correvano, chiamavano, piombavano, mi cercavano, mi invocavano, scrivevano.

Davvero una nube di rapporti umani, sessuali e, nella fattispecie, anali intensissima. E mi sono sempre affannato a sostenere che fossero loro a dispensarmi tanto amore, affetto e vicinanza ed ho anche attestato la mia profonda gratitudine per il loro strenuo tentativo di non lasciarmi solo.
Cazzata il pensiero, coglione il pensatore.

E’ bastato condurre la mia vita e non la loro per scomparire come neve al sole, per ricevere gli auguri da lista di distribuzione, per scontrarmi contro a telefonini che suonano a vuoto sino alla caduta della linea.
E perché tutto questo? Perché?
Niente di speciale, si chiama sindrome del pezzo di merda ed è una sindrome diffusissima pressoché ovunque, mica solo qui e mica solo attorno a me.

Si tratta di un processo egoistico complicatissimo che affligge prevalentemente le nullità umane che sono presuntuosamente convinte, come ovvio, di avere delle qualità eccelse non rilevate da nessuno se non da loro stesse. Per costoro il prossimo è assolutamente interessante nella misura in cui questi gli dona lustro, divertimento, cazzo o tutte e tre le cose assieme. Nel momento in cui una o più di queste condizioni vengono a mancare, le affette dalla sindrome scompaiono, fatto salvo ricomparire con faccia da pezzo di merda superiore, avendo la pretesa assurda che chi è stato accantonato a loro piacimento e ghiribizzo, non attendesse altro che la loro ricomparsa, in quanto l’affetta da sindrome del pezzo di merda crede di avere un valore direttamente proporzionale alla loro assenza di qualsiasi valore in qualsiasi settore dell’esistenza.
Quindi, valendo men di un cazzo in ogni aspetto della loro ridicola vita di merda, sono convinte di valere tantissimo ed essere, talvolta, persino talentuose.

Mentre scrivo penso ad una donna, rispondente al nome di Adele, le cui qualità non sono mai arrivate all’eccelso nemmeno nel settore in cui, teoricamente, dovrebbe riuscire al meglio: chiavare.
Di lei solo una cosa è eccelsa e non per merito: il culo, che a buon titolo può (ancora per poco, magari) essere annoverato come patrimonio dell’umanità.

E per quanto io sia Tazio e lei abbia un culo strabiliante, credo sarà proprio pochino per tornare come si era un tempo, quando ricapiterà.
Perché ricapiterà.

Bevo l’ultimo goccio di Tennent’s e brindo all’anno meraviglioso della Ade e di tutte le pazienti affette da sindrome del pezzo di merda.
Ad majora.

Mercoledì


Stamattina ho fatto colazione al bar qui sotto, dalla Sudiciamaiala.
Sono sceso in missione di pace e mi sono scusato per l’altra volta, dicendole che ero nervoso e mi è sfuggito il controllo, ma che non volevo certo cominciare l’anno con delle acredini.
Non so se mi ha creduto o meno, ma ha abbozzato e ci siamo stretti la mano.
Ora siamo tornati ad essere niente, come prima che la mandassi a cagare dandole della troia.
E’ già un punto.

Stamattina nessuno spazio a congetture o teoremi: la Sudiciamaiala non se lo mette il reggiseno.
La prova? Come può essere che vedo la fine del Canale di Suez e anche un pezzo della pancia? Un qualsiasi reggiseno dovrà pure unire la tetta destra a quella sinistra no? Se no che cazzo regge?
E poi la mollezza delle forme non lascia spazio a dubbi: ne è priva.

Mentre sculava da  bagascia sporca attorno al bancone canticchiando quello che passava la radio mi sono interrogato seriamente e mi sono detto: ma tu, Tazio, te la chiaveresti ‘sta letamaia o no?
Un’analisi seria, sintetica e onesta: il suo corpo mi ingrifa a bestia, ma lei che lo abita mi smorza a mille.
Ed è per questo, anche, che mi fa incazzare. Tanta sudicia oscenità attraente pilotata da un cervello minus dotato e presuntuoso. Cocktail tossico.

Ho preso la brioche per la Betta, ho pagato e sono salito.
“Betta sei una strafiga oggi” e lei ride squillante facendo “figuriamoci” con la mano.
“Anche tu sei uno strafigo oggi Tazio” mi dice con un sorriso divertitissimo mentre incomincia a ravanare nel sacchetto della brioche.
Io dondolo la testa come quel coglionazzo di Clooney e dico “I know”.

Saluto i designer, saluto Matt, la Greta, poi passo da N e gli faccio il dito medio senza una parola e faccio un inchino alla Giogia, poi passo di là, c’è il Loca e il Costa e Zack che tenta di spiegare delle cose al Costa e il Loca mi guarda e batte due volte le nocche sulla scrivania.

Mi ritiro nei miei appartamenti e mando un esseemmeesse alla Domi: “Vorrei infilarti la lingua nel culo”.
Dopo poco una vibrrrrrazione: “Buon giorno amore!!!!!!!!!  :D”

This is my Church.
And this is my religion.