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sabato 18 febbraio 2012

Domani


Meditavo nel silenzio della mia topaia di merda.
Poi, d’improvviso, ho avvertito un tremito.
E mi è iniziato il batticuore, forte.
E ho sentito nell’aria profumo dolce di caramello, Giorgio Beverly Hills e acetone.
Poi è squillato il telefono ed è comparsa una scritta sul display.
Domani sera alle 20:50 Terminal 1 Milano Malpensa, in arrivo con volo Luxair in partenza alle 19:50 da Luxembourg, vedrò comparire la Diva del Male, la Carnivora Cannibale, la Beltà Letale, la Fiera Carnale, la Ademonia.
Che mi ha chiesto se la vado a prendere all’aeroporto.
Un tremito.
Una pulsazione.
Una stretta convulsa all’ano.
La Ade.
“Ti va Ciccci? E’ da tanto che non ci vediamo che c’ho la nostalgiona lo sai?”
Dillo a me, Adeliria, amore vero, puro, sano e santo. Dillo a me.
“E il Ruggi? Come sta? Lo sa che ti vengo a prendere?”
“Lo sai com’è, poverino, tutto preso dal cambiamento, non ce l’ho neanche detto, ma fa niente” e ride.
Maledetta Puttanona Imperiale, io ti adoro.
“E dove sei adesso amore? Sei a passeggio? Sei a fare shopping?” chiedo quasi morboso.
“Mi sto cagando il cazzo in questo posto di morti di merda amore” mi risponde soave. Poesia. Arte. Letteratura. Purezza.
“Quanto ti fermi qui Ade?”
“Boh, una settimana, non so. Ma se torno su è solo per pochi giorni, uno, due.”
Caramello, zolfo, muschio, Giorgio Beverly Hills, merda, piedi sudati, ascelle sudate, pelle al limone, labbra di velluto. Sto sognando a occhi aperti, ma freno, freno, freno. Devo capire. Devo essere certo.
“Amore, ma tu sei ancora la mia ragazza?”
“Cicciiiiiiiiiii ma ccccerto ma cosa mi chiediiiii…. Sono solo brutti periodacci brutti brutti brutti, ma adesso tutto torna a posto cicciammore, vedrai”
Grugnisco involontariamente e sibilo che ho voglia di incularla.
Ride sozza e mormora che faremmo anche presto perché non ha messo le mutande sotto i jeans.
Io la adoro.
E’ il male perfetto.
Ore 20:50, domani, MPX.
Ha!

Timisoara dream


Un po’ sei divertita, un po’ stupita, ma un po’ anche eccitata, possiamo dircelo, perché questo non diminuisce minimamente il tuo status di puttana, non svaluta il tuo cinismo annoiato utile alla sopravvivenza, perché alla fine tu fai semplicemente una sottrazione precisa: i cazzi che prendi per soldi meno il cazzo che prendi per godere, che nell’infantile e patetica visione del tuo uomo di merda, il pappa, è incredibilmente l’unico cazzo che, tra millanta mila che prendi e che ciucci e che vedi, è l’unico cazzo che ti fa godere perché tu lo ami, a lui, al pappa,  e a me viene uno sbocco di vomito a pensare a ‘sto concetto di merda, che un po’ fa ridere anche te mentre mi spieghi il perché non mi slingui in bocca, ma sei disponibile a farmi tutto il fottuto resto.

E mi guardi la minchia come un bambino guarderebbe il più grande cono gelato del mondo e devo dire che mi tira parecchio, sì, anche se “mi tira parecchio” è un eufemismo bello e buono, perché in realtà mi tira come venti stalloni normanni, che me lo sento di ferro sino al buco del culo e tu lo sai, perché la sega cominci a farmela proprio da lì, da quella porzione di pezzo di durissimo cazzo che mi va dal buco del culo ai coglioni e me lo seghi in punta di dita, mordendoti il labbro inferiore con un micro sorriso per poi guardarmi e chiedermi, oziosamente, se ho tanta voglia.

Io non lo so cosa mi stia succedendo, ma le tette, le tette grosse, gonfie, quasi deformate dalla loro grossezza, stirate dal loro peso, dondolanti, carnose, mammellacce, mammellone, ultimamente mi sturbano in una maniera devastante, sarà l’effetto Betta, sarà la voglia di chiavarmi mia madre che riemerge con un’impetuosità allarmante, sarà quel che sarà, ma quando t’ho vista, appassita il giusto che ti fa femmina, femmina da farmi tremare i polsi e le ginocchia, ebbene quando t’ho vista così sfioritamente bella, bellissima e con quelle tette pazzesche non ho potuto resistere e non c’ho pensato un secondo, manco t’ho chiesto quanto volevi, ti ho solo chiesto se facevi servizi lunghi e mi hai detto di sì e poi qui, in questo schifoso appartamentino popolare, quando ti sei tolta il reggipetto, perché quell’armatura che porti per reggere quelle mammelle bovine non è un reggiseno, ma un reggipetto, perché le parole hanno un significato e reggipetto è un termine tecnico, quasi ospedaliero,  quasi diagnostico, è il termine esatto che serve a definire un contenuto paradossale, quando te lo sei tolta e sei rapidamente rimasta nuda, io ho sentito un accordo di archi violento, mentre il cazzo mi cresceva da far male solamente a guardarti.

Carne umana calda, dalle piacevolissime e seducenti forme mature aggraziate, guardo in basso e hai lo smalto bianco perlato, come tutte le donne dell’est, che non ne troverete una che ha ancora la mente a casa che si metterà mai uno smalto rosso, immaginiamoci nero, perché è cultura dell’est che sia il bianco perlato a sedurre, ma poi rimanendo un po’ qui e prendendo dimestichezza coi suini locali capite subito che non funziona esattamente come a casa ed allora le più evolute e imprenditrici di voi cambieranno, mentre le tradizionaliste nazionaliste resisteranno, ma a me non me ne fotte un cazzo, perché sei rumena e non ho mai visto una rumena con dei brutti piedi e tu ne sei una conferma, che ce li hai sessuali, fottibili, belli, seducenti, da troia.

Quanti anni hai, quaranta, che in tutto il mondo significa quarantacinque e dopo un po’ che hai giocato col mio perineo di marmo, ho avvertito profumo di estrogeni e t’ho fatta alzare dal letto e appoggiare le mani sul muro con le gambe appena divaricate e ho cominciato a fare quel gioco che piace a tutte le donne, ma soprattutto alle prostitute, cioè ho cominciato a disegnare le tue forme in punta di dita, baciandoti lieve e tu ti rilassi e poi ti piace, ti piace, ti piace, perché non mi devi guardare in faccia, che sono cliente, ma puoi avere delle espressioni di piacere, che tanto non ti posso vedere, dici tu ed è vero, ma io sento l’odore sensuale dei tuoi ormoni bollenti e ti tocco leggero e ti si increspano i capezzoli e mugoli con un sorrisino e gli occhi chiusi, che tanto quel coglione di merda mica ti vede che hai voglia e ti faccio eccitare.

Ti masturbo leggero e ondeggi il bacino, ma non lo ondeggi per fare lo show e farmi sborrare veloce per tornare giù in strada a raccattarne un altro, no, io lo capisco bene, lo ondeggi come lo ondeggeresti per lui, anzi no, per lui lo ondeggi di più, con me fai la timida, perché un milione e un cazzo meno un milione fa uguale esattamente all’unico cazzo che ti fa godere, quello dell’uomo di merda che ti dice che t’ama, ma possiamo credere a questa panzana? Non credo.

E ci lecchiamo mutualistici i genitali rasati e ispidi e ti sento addosso pesante, carnosa, morbida, paradisiaca, profumata di detergenti dozzinali e ormoni liquidi, poi riemergi spettinata e con l’espressione deformata e mi dici, tu, tu lo dici a me, che hai voglia di scopare e mi infili un ridicolo preservativo rosa e mi monti di sopra, appena affannata, seria e capisco il perché, te lo infili e cominci a far cavalluccio, impalcando la  puerile tattica che se sei tu a muoverti non godrai, perché non puoi godere col cliente, perché l’uomo dimmerda t’ha fissato i parametri e io ti lascio fare cavalluccio sciocchino impastandoti quelle prodigiose mammelle appuntite di capezzoli scuri e rugosi.

Ma c’è un tempo per tutto, mia soave creatura rumena, c’è un tempo per ascoltare i dettami del pappa dimmerda, c’è un tempo per capire i tuoi limiti, ma poi viene il tempo in cui il cliente esige la merce che ha pagato senza fare storie, anticipando somme triple, col patto galantuomo di fare un consuntivo finale qualora i tempi sforassero quelli coperti dall’anticipo.
E ti metto di schiena, come piace a me, con le gambe appoggiate sulle mie spalle e ti lecco i piedi sentendo vibrare il midollo spinale che mi manda in risonanza sonora il cervello, pur deluso da un’igiene ossessiva che ha cancellato ogni traccia biologica che bramerei come l’ossigeno.
E comincio a chiavarti.

Comincio a chiavarti come un uomo deve chiavare una donna, con tutta la forza, l’attenzione, l’adorazione  e l’impegno che il piacere che riceve gli impone. Ti strachiavo, ti trapano, ti strapazzo la figa ispida fottendoti con tutto il vigore che riesco a esprimere, rammaricandomi di non averne di più, perché vorrei vederti scoppiare, anche se ci andiamo vicini e dopo un bel po’ che ti impalo cominci a stringermi e sbarri gli occhi e sudiamo come due camalli, ma sto attento, misuro ogni tuo segno vitale perché sento che stai per venire e con un tempismo perfetto ti premo la mano sulla bocca al fine di garantirti l’agio dell’urlo canoro della femmina in calore che viene, urlo canoro che so già che non vuoi che riecheggi nel lurido condominietto, e lo trasformiamo in un mugugno silenzioso, ma sento la tua bocca aperta sul palmo della mano e la lingua e le tue unghie che mi graffiano e sbatto come il batacchio della campana maestra di San Petronio, senza darti tregua, avvertendo che siamo passati in un’altra modalità, la modalità femmina, abbandonando la modalità prostituta e quando tolgo la mano, che ansimi come una locomotiva tedesca, sudata e rossa, ti aggrappi al mio collo e mi pianti in bocca la lingua e io ricomincio a mitraglia e mi accarezzi e mi lecchi e mi stringi e mi inciti, mi istighi, mi stuzzichi, mi trascini nella tua voglia di sentire che ti sborro di dentro, pur avvolto nel ridicolo preservativo rosa dozzinale che il pappa dimmerda comprerà a miliardate dai cinesi.

Una, due, tre volte, sudati, bollenti, il piacere lercio, sofferto, perché, come mi spiegherai più tardi “se io godo con cliente è come se facevo corna capisci?” certo che capisco e col senno del poi vorrei dirti che forse quella è la cosa che mi ha fatto godere di più, proprio fare corna a quell’ometto dimmerda, fottendo la sua maestosa giumenta imperiale, spodestandolo della ridicola ed insostenibile posizione imposta psicologicamente che tra millanta milioni di cazzi presi, solo il suo è quello che dona piacere.

Timisoara dream, again, after a long time. Mi lavo la cappella con un sapone Donge che si compera al Lidl e mi asciugo con della carta Scottex. Oscena intimità adulta. Una donna sul bidet, accanto a me, rende nuovi gli strumenti di lavoro e mi sorride.
Bella, bellissima.
Sento, per un fuggevole attimo, di volerle bene.

Timisoara dream.

venerdì 17 febbraio 2012

Astinentazio


Sembra, pare, si mormora, che questa cazzo di settimana del cazzo vada volgendo al termine.
Gli impegni lavorativi stanno pesantemente penalizzando la mia vita sociale, la quale, unitamente ad un’impertinente influenza dilagante, si traduce in un’esigua quantità di figa indossata dal mio Sublime Cazzo Martello Rampazzo nel recente periodo. Tale austerity lo induce a inscenare proteste democratiche e civili, anche moderne se si vuole, poiché questa sorta di flash mob in cui lui si intosta marmoreo nelle più impensabili situazioni fa molto Cazzo 2.0, molto Ingrifados, molto I am the 999% (riferendosi alle dimensioni di quello degli altri meschini).
In altre parole, più dirette e meno celate, più pragmatiche e meno ermetiche, più mercantilistiche e meno keynesiane, più laiche e meno clericali (anche se, parliamone) devo assolutamente chiavare.
Ma assolutamente eh.
E se posso dire, devo anche chiavare parecchio.

Orbene, ferma la dotta premessa, la manieristica prolusione, la poetica entrée, la romantica introduzione (in senso esclusivamente letterario, dato il tema) rimane da risolvere l’annosa questione già posta dalla mai dimenticata, parlandone da viva, Nadia Cassini: a chi lo do stasera?
Allora vediamo, vediamo, vediamo.
La Ale è bloccata a letto e, per una volta, non da due manzi zeppi di Viagra, ma dall’influenza.
Così dicasi anche della Ines, come la povera Ale stessa, nel letto del dolore, mi ha comunicato.
La Betta sarebbe veramente my first best, ma è off limits, quindi no deal. Fuck you.
La Ade, che sarebbe una chiavata che coccolo con la mente, l’uccello e ambedue i palmi delle mani da che l’ho sentita al parlàfono martedì sera, è in quell’ospitale paese ricco di cultura e storia millenaria, capitale del Turismo con la T maiuscola, meta incessante di viaggi di nozze, che è il Lussemburgo.
Va ben fame, ma prendere l’aereo per andare là, che c’è anche Ruggi Sederinocurioso, mi par da fessi.

Una rivisitazione delle carni meretrice della Giulia?
Ma anche no.

Una triangolazione topografico-toponomastica col Loca e la Luridabarista?
No, assolutamente, devo avere la mia vacca, la mia, quella che la si possiede con l’orgoglio contadino del dopoguerra di miseria, la vacca sulla quale e nella quale si ripongono tutte le speranze che culmineranno dopo anni di sacrifizi nella seicento e nella domenica ai Lidi Feraresi senza doppie.
La voglio mia, tutta mia, vacca mia, monto io, bricolage, bricoleur, bricolè. Olè.

Resta quindi la Nica, la moldava di sempre, l’assassina seriale, la donna dal torbido passato e dall’oscuro presente, la donna che ama strangolare lo stallone che sta cavalcando, nella consapevolezza scientifica che, anche se si è appena morti, il cazzo continua a tirare per un bel po’. E allora vai, mia bella Mantidazza, strangolami dicendomi porcate oscene in russo che ti sborro nel culo anche il cuore.
Lei.
Messalina.
La donna dal piede odoroso, dall’ano appiccicoso e dalla figa pelosa.
Lei.
La Mamma pisciona.
Sì.
La voglio intensissimamentissimamente voglio.
Naica, get ready, Tazio is back.
Ha!

Se ha un impegno mi inietto in vena del Punt e Mes.

giovedì 16 febbraio 2012

Sorprese


E poi c’era questa tizia, sulla quarantacinquina, abbondantemente lampadata, ex gran figa, attuale bella figa, che ha evidentemente capito che quando c’è uno straniero che ha bisogno della traduzione simultanea, chi traduce può assumere ruolo paritetico allo straniero medesimo e, quindi, parlando un buon inglese, si è infrattata tra noi e lui prendendosi la libertà di ornare concetti, ricamare sfumature e accentuare pieghe, nonché raddrizzarne altre. E va bene. E stiamo tutti zitti.
D’altra parte l’avvocato inglese ha voluto la traduttrice, noi siamo caccole, lasciamola tradurre.

Poi, però, arriva il momento in cui io, che vengo dalla bassa, che mi piace il gnocco ingrassato, che ho stima del maiale sia come animale di bassa corte che come atteggiamento umano, incomincio a provare una torsione del testicolo quando vedo che il mio stimabilissimo compagno d’avventura dice una cosa e che questa scrofa di merda non la traduce esattamente così, al punto che l’avvocato reagisce spesso in maniera vivace, generando un po’ di disagio sia nel mio stimabilissimo compagno d’avventura, che in me.

Poi arriva il coffee break e il Mills de noantri si applica all’orecchio il telefono e parla con Zorro a Madrid, che c’aveva degli scazzi col tenente Garcia ed allora io avvicino la ex gran figa, ora bella figa, con uno dei migliori sorrisi del repertorio taziale dell’ultimo ventiquattrennio. La avvicino come se fossi annichilito dalla timidezza indotta dalla sua superba figaggine e le dico, piano, con garbo, che o si mette a tradurre come dio comanda o la prendo a calci nella figa finchè non mi fratturo le dita dei piedi.
Lei si imbizzarrisce, si stranisce, mi arrossisce, tenta di furibondarsi, ma io la placo, la calmo, le spiego, le narro, le dico che l’inglese qui qualcuno lo sa, indovina se sono io o il mio stimabilissimo compagno, indovina amore, ma mentre tenti di indovinare, ficcati nella testa di cazzo del cazzo, che se scazzi di nuovo da furba mignotta consunta, sorpresa!, qualcuno si mette a parlare in inglese, spiega due cosette basilari all'avucat e tu vai a pulire i cessi all’autogrill, dove io mi pregerò di venire a pisciare sulle tue ciabatte.

Che donna intelligente, che prontezza, come ha colto al volo, che rapidità, che intelligenza, che verve.
E da lì in poi abbiamo iniziato a ragionare meglio, ma tu guarda, delle volte, ma si sa, le barriere linguistiche non agevolano, le troie dimmerda nemmeno.
E abbiamo proceduto senza intoppi lungo il tragico Calvario che ci aspetterà (forse) se questo affidamento va in porto. E i suoi bellissimi occhi verdi, incorniciati di qualche ruga valorizzatrice che narra di migliaia di cazzi presi ovunque, fissavano i miei durante la traduzione lenta, precisa, corretta, quasi a cercar conforto dalla Bestia che sedeva a quel tavolo.
Brava, zoccola. Sopravviverai altri cinquant'anni.

Secondo me se la rasa.
E sempre secondo me le piace anche parecchio nel culo.
Ho il suo numero, lei è il tramite, è giusto che ce l'abbia.
Mi pungerebbe vaghezza di vedere se mi sbaglio su figa e culo.
Adoro le sorprese.
E adoro vincere.

mercoledì 15 febbraio 2012

Echi


Ore 7:00. Bonjour.
Freddo siberiano, il riscaldamento centrale si è attaccato da dieci minuti, ma con ‘sti monumenti di ghisa di termosifoni ci vorrà mezz’ora prima che si scaldino.
Non mi pare nemmeno che sarà una giornata dal clima rivierasco.
Cito letteralmente le previsioni meteo:
Nuvolosità sparsa. Vento da Ponente con intensità di 23 km/h. Raffiche fino a 36 km/h. Temperatura minima di -5 °C e massima di 8 °C. Zero termico a 1050 metri.
SOLE - Sorge: 7:20, Tramonta: 17:43  LUNA - Leva: 2:01, Cala: 11:17 - Luna calante
Mi permetto di dissentire solo sulla temperatura: il termometro sul terrazzino segna -6.5 adesso.

Stamattina ho il Cazzo Mustang, selvaggio, indomabile. Mi tira con un nonnulla, nonostante il freddo. Oppure proprio per il freddo, non so, fatto sta che c’ho un capitello corinzio che brama di essere strozzato sinchè vomita. E io adesso lo farò vomitare, non vedo perché no.

Ieri sera, dopo essere rincasato ampiamente foderato di gnocchi, stavo decidendo come imbastire la serata e, giocherellando con il cellulare, mi è scattato quel gesto che oramai è automatico: premere sulla rubrica ADE e ascoltare che la linea suona a vuoto sinché cade. E invece, con mio grande stupore, ieri sera la Dea Bionda Cannabile Regina dei Licaoni ha risposto. Milagro.

Migliaia di milioni di convenevoli, attestazioni d’amore e nostalgia, risatine, coccole verbali, ah! la Ade!, che piacere. E così ci siamo intrattenuti piacevolmente al parlàfono per minuti ottantuno. Ottantuno minuti di aggiornamento, durante i quali ho anche preso appunti, perché va bene che c’ho la memoria buona, ma mica mi posso ricordare tutto.

La Ade era a Milano. Perché in questi giorni deve fare delle cose lassù. Incredibile come si celi l’abisso, l’orrido, la voragine dell’ignoto, dietro a quattro semplici parole. Deve fare delle cose. Le chiedo come sta, cosa fa, chi vede, come vanno le cose e lei mi risponde chiedendomi se ho sei ore di tempo per le risposte. Simpatica, dai. L’ho sentita fiacca, se posso dire. Non spenta eh. Semplicemente fiacca e stanca.

La Banda dei Topoloni ha subito una profonda mutazione. Sintetizzo i fatti al midollo: a seguito di un vertiginoso giro di chiusure, fusioni, vendite ed altre operazioni economico finanziarie, ciascuno dei Topoloni Socioloni ha preso la sua strada. Ruggi è fuori da tutto e si è stabilito in Lussemburgo. Fuori da tutto. E si stabilisce in Lussemburgo. E’ come un ex alcolizzato che apre un negozio di liquori, ma andiamo avanti. Luke Luchino Redford si è stabilito più vicino, invece: Milano. Lì ha aperto una cosa sua che la Ade volutamente mi ha confuso perché non capissi. Comunque sta lì. E sta separandosi dalla Lidiammerda che, intanto, ha aperto una società con l’Architetta Caparezza. Gran momento per l’immobiliare eh, bella mossa.
Peppemmerda, invece, è il trombato strombazzato. Liquidato con una pipata di tabacco si è inventato un mestiere allucinante che ci metterei diciassettemila righe a descrivervelo in maniera sbagliata, ma di cui ho capito solo che si svolge a Timisoara. Roba pulita, insomma. E la Giulia? Boh, non sa. Non la sente da due secoli.

E tu Ade? E tu? Eh. Lei è alla disperata ricerca di vendere il relais resort relax. E pare che dei russi siano interessati, anche se il prezzo è assai lontano dal valore del centro, ma lei dice che se si dimostrano intenzionati lei vende. E’ tutto in vendita: relais, villona, tutto. Ha segato tutti, perché tutti erano delle teste di cazzo (!) parassite, ed attualmente lassù è chiuso. E mi è parso proprio che la Ade sia molto, ma molto, lontana dalle dinamiche del paesotto, perché altrimenti un cicchettone sulla Ale me lo avrebbe tirato. E con Ruggi? Buoni amici, nient’altro. Non si separano perché hanno trovato l’equilibrio, ovverosia lui le passa un assegno mensile pesante e lei ogni tanto va a Lussemburgo a trovarlo, mentre sistema le cose qua.
Tutto spento, tutto raffreddato, tutto incenerito. Fine della saga, i Topoloni sono scesi dalla nave e ora ciascuno si è trovato il proprio bidone dell’immondizia.

“Senti Ade, io ti ho tanto cercata in questi giorni perché dovevo dirti una cosa”
“Ah sì Cicci è che c’ho un altro numero e questo ormai non lo ascolto quasi più, è stato un caso stasera, ma dopo ti do quello buono. Ma che cosa volevi dirmi?”
E allora incomincio a spiegarle la mia posizione di gratitudine, di non dimenticanza, di presenza costante nei miei pensieri con qualcosa di più dell’affetto, ma qualcosa di grande. E parlo per cinque minuti.
“Cicci non devi dirmi grazie, perché io ti voglio tanto bene e te ne ho sempre voluto e te ne vorrò sempre, che te sei l’unica persona a cui ci voglio bene vero vero”

E io lo so che da quella bocca è uscito l’inverosimile, lo so.
Però io la conosco e so anche quando spara cagate e quando no. E ieri sera, dicendomi così, io l’ho sentita sincera. E se da una parte mi rende felice, dall’altra ho avvertito un’infinita malinconia e solitudine che mi hanno un pochino fatto male.
E’ da idioti, razionalmente, ma è così.

“Quando riusciamo a vederci Ade?”
“Non lo so Cicci, non lo so proprio. Io dopodomani parto per il Lussemburgo e sto un po’ là che il Ruggi c’ha bisogno, poi non so. Ma ti telefono eh? Ti telefono e ti dico”

Certo.
Ciao Ade.

martedì 14 febbraio 2012

Sul far della sera Tazio tira le sagge somme


Eh beh, eh beh.
La falcidia influenzale aumenta, quasi quasi avviserei il Ministro della Sanità, se solo cazzo mi ricordassi che faccia ha e come si chiama. La Greta ha abbandonato il campo su mia pressione perché io NON voglio ammalarmi, che per quest’anno ho già dato.
Fortunatamente domattina le mammelle della Betta precederanno l’entrata della Betta medesima e sarà subito festa. Almeno mollo qualcosa, che già due giorni di fuck totum (si scirve così vero?) mi hanno spossato, prostrato, devitalizzato e debilitato.  Ma quanto se la sarà pastrugnata sotto le coperte la Betta? E’ un quesito maschile diffuso, qui. Cioè ce lo chiediamo io e il Matt, perché l’aria è ampia, la casa è spoglia, i figli piangono e la poca gente rimasta mommora.
Questa sera gnocchi al ragoot alla Solita, poi si vedrà.
Magari opero la Nica di adenoidi in cazzaroscopia anolaringoiatrica, chissà.
Dopo le telefono e le chiedo se il suo culo ha la necessità di qualche terapia medievale intensiva, vediamo.
E’ che è tanto riservata la Nica, mica come la Ade che mi chiamava, ai tempi d’oro, per dirmi quanta cacca, quanti pezzi e di che dimensione aveva fatto. Che signora, che classe. Che attenzione alla salute, anche!
Fuori non nevica ed è un fatto, anche se scendendo a prendere un caffè ho incrociato un alce maschio che entrava al bar con me chiedendomi “Ma quanto cazzo di freddo fa in ‘sto posto di merda?” e così gli ho offerto un punch all’arancia.
Buono il punch all’arancia, fa così alcolizzato all’ultimo stadio. Ok, se lo bevi in agosto, ma anche adesso, chiccazzo lo beve più il punch all’arancia se non io e l’alce?
Come entrare e  dire “Mi dia un Radis” oppure aspetta, aspetta, “Prenderei un Punt e Mes” oppure, spè, spè, “C’hai mica un Alpestre?”.
Ah, l’Alpestre, che momenti. Che ci dovevi fumare dietro una N80 senza, per essere del partito dei giusti.
Erano i tempi in cui le sorche erano insolentemente pelose, delle nutrie carnivore, delle istrici africane e il pelo piaceva, cazzo, piaceva a palo, che tanto anche se ne ingoiavi un etto leccando la barbuda c’era subito l’Alpestre che risolveva, inducendoti l’effetto palla di pelo di gatto. Spurt.

Detto ciò, nel compiacermi con me stesso per la logica costruttiva di questo post che reputo tra i migliori in tema di disturbo bipolare, vi annuncio che andrò a farmi una canna, ma leggera leggera leggera leggera e poi farò prua verso la Solita, per ingozzarmi come l’Uomo Cloaca di gnocchi al ragoot.

Ah, se qualcuna brama di coniugarsi con me, lasci la mail che la contatto.
Baci salivosi, dudes.

Le riflessioni soleggiate di un romantico esibizionista guardone


L’esibir guardando è un’esigenza fisiologica, una spinta interiore, un narcisismo autoseducente, un desiderio di pubblica carnalità, un compiacente autocompiacimento, un disinvolto compiacere.
Per un esibizionista-guardone l’inverno comprime le propensioni e le attitudini, la creatività!, e può talvolta indurre serie crisi esistenziali. Con giornate soleggiate la mente corre subito alla leggerezza delle vesti ed all’essenzialità minimalista del numero di indumenti indossati, seppure non sia sufficiente un filo di sole per condurre a tale paradisiaca situazione.

Argini, boschetti spontanei, spiaggette segrete assai note, ritornano alla sua mente in un arabesco vivace fatto di nuda pelle, esibizione dei genitali in tutto il loro fertile splendore e trasversalità del piacere che esula dall’omosessualità o dalla bisessualità, pur non negandola od escludendola.
Nell’esercito dei “marciatori”, ovvero di coloro che vagano raminghi (e totalmente nudi) tra boschetti, cespugli, argini e molto ben note spiaggette segrete, l’aggregazione masturbatoria non è necessariamente l’espressione di un meeting gay con agreste libero sfogo. E’, piuttosto, una cerimonia di consacrazione e celebrazione dell’eccitazione libera ed aggregativa: la signora laggiù offre uno spettacolo esplicito? Questo spettacolo genera diffusa eccitazione? E perché mai ciascuno dovrebbe sfogarla in proprio con privata   e mesta privacy?

L’esibizionista-guardone è, alla fine, una forma partecipativa realsocialista della prima ora, dove il bene è di tutti e ciascuno lo rispetta, pur usufruendone, ma nella coscienza che è del popolo. Nessuna area privata, né da parte di chi materialmente lo detiene (il marito), né da parte del bene stesso che per natura può essere di molti, seppur a vario titolo (la moglie), né da parte della società (gli esibizionisti-guardoni) che ne usufruiscono l’utilità (a variabile titolo di partecipazione) rendendo disponibili nel contempo altri servigi di natura simile (sempre a variabile titolo di partecipazione), quasi a voler rivisitare i paradigmi fisiocratici di François Quesnay o ad assodare il concetto di mutuo fabbisogno proprio dell’economia del baratto.

Ebbene sì, un filo di sole questa mattina mi dona impaziente necessità di infrattarmi nei più noti tra i posti segreti, talmente elevato nello spirito da ritrovare storici cenni filosofico-economici persino in un comune sgrullar di cazzo esibito in risposta ad un artato lisciar di sorca.
Ha!
La cultura! La cultura!