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sabato 3 marzo 2012

Il porno


Bonjour, cazzo.
Sorseggio il mio caffè con l’accappatoio aperto, dietro i vetri della mia lurida cucina. Ho il cazzo scappellato e ingrossato e vorrei farlo vedere alla mia dirimpetta con la quale non giochiamo più da una vita al mostrami-che-ti-mostro che ci piaceva tanto.
Sono le dieci e credo fosse dai tempi del liceo che non dormo così tanto. Sarà forse che mi sono veramente addormentato alle sei?

Bonjour, cazzo.
Come farà, la Susy, a lavorare una giornata intera oggi?

Bonjour, cazzo.
Sono dolorante in ogni parte del corpo. Ho un filo di mal di testa ed un alito acido che potrei staccare le piastrelle della cucina soffiando. E della mia dirimpetta nessuna traccia di vita. Apro e sento l’aria fredda che mi investe la pelle, quasi un segnale che dice con voce meccanica “coprirsi – stagione non adatta”.
Guardo giù a destra il terrazzino del Cazzulati. Povero Cazzulati, ci aveva speso denaro e tempo della badante per tenerlo pulito lindo e ordinato e adesso guarda quei cinesi a che razza di cagatoio l’hanno ridotto. Che poi si dice “cinesi” con la medesima precisione con cui si dice “uomo bianco”, perché chissà da dove vengono. C’è una ragazza carina, tra loro. Le asiatiche hanno i peli della figa neri, grossi e dritti. E dei bei piedi. Sarebbe un bel diversivo un’asiatica. Una volta dovrei andare da I-Fan. O Ifan.
O come cazzo si scrive.

Bonjour, cazzo.
Fa fresco, sono ancora in ombra dal mio lato, ma non ho cazzi di chiudermi l’accappatoio. Sorseggio con la tazza nella sinistra e gioco con la cappella con la destra. Oh, Dirimpetta, và che ti perdi del buono eh. Io te l’avviso, come dice la Ade. La Ade. Che gran figa che è la Ade. Non vedo l’ora che torni. Non vedo l’ora che torni per istigarla ad essere la Ade senza limiti da Academy Awards e cancellare così, definitivamente, i primati assoluti che quell’altra lì ha raggiunto stanotte senza sforzo né teatralità. E’ una scelta di campo che va fatta. Bisogna decidere. Facciamo la quadriglia porn style? Bene. Facciamola. Condiamola di emulazione del porno di cui siamo ghiotti, ricreiamo le situazioni che ciascuno ha stampate nella mente e basta. E la Ade è maestra. Lei non la batte nessuna. Giochiamo al porno e la Ade vince. Basta. No che una decide, una notte, che non fa moine porno e fa la donna femmina e alla fine mi trascina in una notte di sesso che mi costringe, mio malgrado, ad annoverarla tra le prime tre migliori notti di sesso della mia vita. Bisogna fare scelte di campo e io non esco dal seminato. E’ andata così? Benissimo. E’ stato travolgente. Ok. E’ stato fantastico? Ok. E’ palese che abbiamo un’affinità animale perfetta? Ok.
Ma io voglio la Ade. Perché io scelgo il porno.

Bonjour, cazzo.
Che poi, anche la Ade, cazzomerda.  Se era qui invece che lì, ‘ste cose non sarebbero successe. E un pochino mi deve aiutare pure lei, cazzomerda. Ma è andata così e oramai amen. Ma è l’ultima volta. Mai più. Io non c’ho il fisico né i coglioni di mettermi lì a fare introspezioni facendomi domande e dandomi risposte e analizzando e valutando e riflettendo. Basta. Io voglio fare il porno con la Ade porno, non l’amante con la Susy. Io voglio parlare, dire sozzure, toccare limiti isterici, profanare, dissacrare, sbarellare. Non voglio farlo alla missionaria in continuazione senza rendermi conto che è passata un’intera notte, venendo non so quante volte e godendo così profondamente da averne paura e poi odiare l’orologio che son già le cinque.
No. Io voglio il porno.
Cannibale, spietato, sollecitante, stimolante, voglio la scossa elettrica, voglio il consumabile, il retail.
Non voglio le mani calde che mi fanno commuovere. No. Non voglio i baci in bocca che mi fanno venire con lei. No. Porno. Mucchio. Esibizionismo. Ecco cosa voglio. Voglio la Ade puttanina sul marciapiede in agosto con quegli zoccoli ai piedi che mi rendono folle. Ecco cosa voglio.  
Sì.

Bonjour, cazzo.
Ma la Marisa dove cazzo è? Boh. Rientro che fa un freddo bestia e non vorrei cagarmi addosso, nudo con l’accappatoio aperto. Mi verso un’altra tazza di broda e penso che oggi, che sembra primavera, è l’ultimo giorno di illusioni. Da domani comincia a peggiorare, da lunedì piove che dio la manda.
Sai che inculata se qualcuno, oggi, credesse che perché ci sono diciannove gradi di massima è primavera? E poi lunedì come la mettiamo? Ci diciamo che è ancora inverno e ci siamo sbagliati? Bella cazzata.
No.
Io non mi illudo che sia primavera solo perché ci sono diciannove gradi.
Io no.
Io voglio il porno.

venerdì 2 marzo 2012

Grassi sviluppi all'oliva


Col Costa scendiamo al lurido bar della lurida Labarista Susy e ci posizioniamo sugli sgabelli nel lato corto, quello appiccicato alla vetrina, quello con la vetrinetta coi panini e coi tramezzini, così scassiamo la minchia a tutti quelli che vogliono vedere che panini e tramezzini ci sono e scassiamo la minchia pure alla Zuzzy che deve declamare la filastrocca di quel che c’è e quel che non c’è (cosa, quest’ultima, inutile sotto il profilo della comunicazione, ma lei la declama lo stesso e ogni volta, a segno di un’intelligenza data per dispersa).

Mangiamo a nostra volta due luridi panini, io con le emorroidi e il Costa con il pus, che oggi voleva stare leggero. Due belle birrazze e via, a guardare il pornoshow della porno barista nel porno bar. Che, pensandoci, dopo “Le porno sorelle affacciate al porno balcone” potrebbe essere uno dei titoli più gettonati del prossimo semestre. “La lurida porno barista nel lurido porno bar”. Grande. Come scena culmine, molto splatter, farei vedere impietosamente e crudamente come prepara i panini, con zoomate ginecologiche sugli ingredienti che usa. Roba forte, roba per pornofili di nicchia con stomaci forti.

Mastichiamo a bocca aperta, appollaiati sui trespoli come due esemplari di Coglionus Dimerdulis in età adulta. E ci guardiamo quelle sportazze carnose che dondolano ipnotizzando edili, idraulici ed elettrotecnici che accorrono in gran numero da tutta la regione, osannando l’era della barista troia che pare perpeturarsi in più località vicine, sperando che con la buona stagione la Grantroia scopra via via sempre di più.
No rimarette delussi, amisgi edillissi, idraulisgisti ed elettrotecnisgisti.
A questa in giugno revocano la licenza perché serve nuda con un butt plug nel culo cantando “Lo voglio duro. Duro duro. Duro duro”.

Al termine della permanenza dell’orda testosteronizzata, che noi eravamo già alla terza birra media a testa ed al rutto sempre meno compresso e sempre meno sporadicamente libero, la Maialazza dalle Sportazze fa parola con noi. Cioè, più che altro, fa parola col Costa in merito alla serata.

“Allora tu vai via coi ragazzi stasera?” dice boccadirosafacciaditroia, spalmando grasso rancido sul banco d’acciaio con una spugnetta del Cretaceo. Il Costa annuisce a grandi gesti del capo con in bocca un’oliva di dimensioni paradossali, probabilmente allevata su Kreskuol 16, il nuovo satellite di Maxtrozzopz.
“Tu vedi l’amica tua llàh?” grufola il Costa masticando i brandelli di oliva, che quando c’ha la bocca piena di oliva gli viene la vocaleh haspiratah che rrrhiocordah la HCalappriah.
“No è malata” dice SportazzeFlaccide sempre spalmando e contaminando anche dove c’era speranza di pulito.

A quel punto il Costa, che aveva già fagocitato la seconda oliva e la stava sbranando al fine di eviscerarne il nocciuolo radioattivo, sbarra gli occhi come un affetto da esoftalmo di Basedow e comincia ad agitare le mani a paletta come un pupo siciliano, guardando me e indicando lei e guardando lei e indicando me. Lo guardo un po’ annebbiato dalle tre medie, svaccato sul banco, pensando nel contempo che io manifesto fiducia a questo essere, addirittura pagandolo ogni mese per i suoi servigi e questo rientra tra i grandi misteri delle piramidi, del bagno elettrolitico d’oro delle statue azteche e delle frasi di Bobo Vieri.

Finalmente il cinghiale riesce a liberare parte del cavo orale e con un tono acuto di chi non ne poteva più dal non riuscire a dire, gracchia: “Minghia vusgide nzieme ghe ziete dussoli ushtazzer” che tradotto dal costese all’oliva allappante e otturante vuole dire “Poffarre, che curiosa coincidenza, amici! Siete ambedue privi della vostra metà! Orsù, approfittatene per unirvi al desco comune e ciarlar di frivolezze, che di letizia non ve n’è mai troppa!”.
Appoggiato al braccio come un avvinazzato (quale forse sono), getto uno sguardo intorpidito alla Sozzy che, stizzita, parla al divoratore di olive dicendogli “Non ci viene con me da sola Costa. Mi ha fatto il pacco anche lunedì sera” e mi guarda con gli occhi della reprimente maestrina.

Si impone il Taziopensiero, a quel punto. E spiego che non era una cosa rivolta contro di lei, ma per rispetto del Costa, poiché non s’erano ancora chiarite delle cose, che adesso sono chiarite. Aggiungo poi, da gran signore, che sarei onorato della sua compagnia qualora volesse. Perle ai porci la gran signorilità qui.
“Minghia ma ghe, machestaischezzando Tà? Veramente Tà non ci sei andato peqquello? Miiiiii….” e scende e mi abbraccia, complice la quarta media che stava scolandosi mentre sterminava le olive.
“Lo vedi aqquesto Sussi? Lo vedi? E’ il migliore amico che cciò, hai capito il pecchè? Ah? Hai capito?” e la Sozzy annuisce con un sorrisetto di compiacimento che se avesse avuto un fumetto di sopra ci sarebbe stato scritto “Ma da dove cazzo venite fuori voi teste di cazzo?”.

Mentre il Costa mi scrolla le spalle in un abbraccio entusiasta, chiedo alla Sozzy se le otto e mezza qua davanti andava bene. E la Sozzy mi dice “Anche otto vabbane”.
E se anche otto vabbane, la passo a prendere alle otto.
Eh.
Se vabbane.
No?

Come sospettavasi succendendosi stavasi


Bene, sono contento. Sono contento di aver riacquistato la capacità di intuire come vanno le cose.
Mi ha telefonato la mia adorata Adelizia, dall’inospitale Lussemburgo. Lo ha fatto in una breve pausa in cui ha detto “vado fuori a fumare” alla compagnia con la quale si sta intrattenendo in qualche lussuoso ufficio.
Immagino io eh, poi magari ha detto “vado fuori a fumare” alla sozza barista del più sozzo dei baretti in cui sta giocando a videopoker.

In ogni caso bene, sono sereno.
Questa sera non torna, no. Questa sera fa la moglie del Ruggi ad una cena. Ma pensa te il Ruggi che si è già integrato nel tessuto sociale, si infratta, si mischia. E cena. Con la moglie che si infratta anche lei. Bene, molto bene, anzi. “E quindi scendi domattina?” chiedo io, facendo il pollastrone che ci si attenda che io sia, ma pollastrone memore della notizia che di sabato c’è solo un volo, alla mattina, per Milano.

Accidenti, purtroppamente no. Eh beh. Si trattiene. Gliel’ha chiesto il Ruggi. Eh beh. Se gliel’ha chiesto il Ruggi, no? Ma io non mollo. “Domenica pomeriggio?” chiedo io come se dovessi indovinare il nome del cugino di Brontolo. Quasi goal. Domenica sera. Arriva a Milano alle ventuno e poi: arriva al garage, prendi la macchina, paga il parcheggio, guida e torna, non sarà a casa prima delle ventitre -  ventitre e trenta. Eh beh. E poi via a nanna perché lunedì mattino c’ha l’avucat con cui andare a parlare ed illustrare, come solo lei sa fare grazie alla sua accattivante dialettica colta, la controproposta che il pool di cervelli ha elaborato in questi giorni. Che poi, martedì levataccia e via a Rimini con l’avucat eh. Eh beh.
Manco la Marcegaglia è fittafittafittafitta come la Ade. Eh beh.

Bene.
Adesso scendo dalla Grantroia della Susy col Costa e le dico di procurare, a questo dimagrito nugolo di porci, una pari Grantroia sostitutiva, disponibile alla monta sozza in quadriglia assatanata. Non me ne frega un cazzo: bella, brutta, vecchia, giovane, intelligente, idiota, niente. Due soli requisiti: che sia troia e che sia disponibile a farsi montare a più non posso da maschi e femmine.

Io voglio chiavare lurido.
Nient’altro.
Sono Tazio, mica un umanista in cerca di risposte, no?

La gaiezza ritorna nel cuor

Bonjour. Cos'ho poi fatto? Semplice, presto detto. 
La Susy aveva i suoi impegni, il Costa no, io nemmeno e così siamo andati a mangiare alla Solita.
Abbiamo chiacchierato, appurato, analizzato, valutato i reciproci punti di vista. Uscire ciascuno con la donna dell’altro a scopo chiavaiolo? Nessun problema se ce lo diciamo. Oh Costa, stasera esco con la Susy. Ok Tazio. Oh Tà, stasera esco con la Ade. Ok Costa.
Certo, io sono un po’ merda, poiché io lo so bene che la Ade col Costa non ci uscirebbe, ma la regola varrà per la/le prossime.

Al termine del lauto banchetto fatto di unto, ci trasferiamo da me. Speziamo l’aria con essenze esotiche e gli dico che, volendo, potrebbe depilarsi un pochino. Lui sbarra l’occhio e mi chiede se sono fuori, ne discutiamo e giungiamo al compromesso di un accorciamento cospicuo della sua scimmietudine.
Si informa con che mezzo, gli parlo del taglia barba questo sconosciuto, mi dice ah ok, terrorizzato dalla parola “cera”.

E così alle ventitre mi ritrovo figaro, col Costa su un asciugamano da mare appoggiato sulla tavola della cucina, al fine di celare agli umani la sua discendenza dalla razza degli oranghi. Sapete, ci sono dei momenti nella mia vita, in cui ho fenomeni extracorporei e divento un Tazio terzo che batte sulla spalla del Tazio figaro e gli chiede “Ma ti rendi conto di che cazzo stai facendo? Era questo che sognavi da ragazzo?”.

Però è venuto un signor super lavoro. Un tappetino cortissimo e morbido, veramente soddisfacente anche per il Costa che, guardandosi allo specchio, conviene sul fatto che il pelo cortissimo allunga il cazzo. E quindi si presta alla fase due, ovvero la rasatura vera e propria di parte del pube, dei coglioni, del perineo e del difficilissimo buco del culo. Ma mi ci applico, con lametta nuova e molta schiuma.

La cucina è un vero cagaio di peli e schiuma e, quando è in ginocchio a favore di culo, il Costa mi chiede.
Mi chiede se noi, noi tecnici attenti che tanto approfondiamo, svisceriamo e regoliamo il fatto di uscire da soli con la donna dell’altro e i sentimenti e questo e quello, non dovremmo dirglielo alle nostre dame, che ci facciamo tra di noi nella nostra privata solitudine maschia. Bel quesito.

Peccato che sia formulato alla pecorina, con il culo appena rasato, liscio, pulito, così come i grossi coglioni rugosi ai quali fa da complemento estetico e artistico la tozza minchia scappellata che penzola.
Ed è ovvio che la mia attenzione si sposta ed è altrettanto ovvio che, favorito dalla posizione, non posso esimermi dal piegare all’indietro quel seducente pezzo di cazzo al fine di stringerne il glande tra palato e lingua. E la gaiezza invade la cucina campo di battaglia.

E succhio e sbocchino, felice del lavoro pilifero che ho fatto, entusiasta della minchia che si intosta ad ogni tiro e delle palle che si separano, ciascuna spostandosi a destra e a sinistra dell’asta, per poi divenire più piccole, salendo, scoprendo la mazza che si snoda dura di ferro dall’ano alla mia bocca. Lecco e succhio, infilo e lecco e sego e poi prendo in bocca più che posso e spompino come una baldracca consumata.
Probabilmente perché sono una baldracca consumata. Devo dire la verità: quel momento, così surreale, così ridicolo se volete, per la prima volta in vita mia non mi ha indotto alla usuale assunzione dei ruoli, alla necessità di diventare la Tazia che si fa montare dal ragazzo buongustaio che adora il suo culo e la sua pisella, no.

Forse ha ragione lui su molte cose, prima tra tutte che i nostri virtuosismi omosessuali sono l’estensione di un libertinaggio viscerale, voltairiano, nel quale aboliamo i confini sessuali perché di ostacolo al perseguimento dell’urgente edonismo pecoreccio che ci vede coinvolti come fossimo membri di una setta di provincia. Forse ha ragione lui, dovremmo permearci di maggiore coerenza e, se ravvediamo in alcune sfumature il pericolo di ferite all’anima, dovremmo rendere trasversale, piana, diffusa, questa linea di pensiero, comunicando (che non significa confessando, né chiedendo il permesso) alle rispettive partner occasionali, perché con tale qualificazione vanno definite, che ci accingiamo a trascorrere una serata gaia tra di noi.
Ha ragione, va metabolizzato tutto ciò.

Poi pensandoci, questa mattina mentre scrivevo questo resoconto, divento consapevole di una cosa stupefacente ed inattesa: seppur molto celatamente e motivatamente il Costa è pronto a fare coming out.
E già.
E’ un grande.
E non solo un glande. Lo stimo.

giovedì 1 marzo 2012

Primo marzo morto


Cazzo che arietta primaverile che c’è. Tredici gradi, a quest’ora, in Marzo appena principiato.
Ma che bello, dico, no? Goderselo senza illudersi, perché da domenica si mette dimmerda.
Evabbè, già sappiamo come funziona, ne abbiamo visti un po’ dei Marzo in vita nostra.
Vi porto notizie dal Lussemburgo, dove pare non vi siano notizie. Non si sa niente del ritorno e, anche per questa assenza di notizie trans europee, la telefonata è stata breve e sintetica, chiusa con “Ciacciaocicciciacciao ti chiamo domani è qui il Ruggi”.
Bah, dico tra me e me, “bah”.
Mi puzza ‘sta cosa e, essendomi fatto la doccia stamattina e considerando che io sono un tipo che non puzza, credo che la puzza venga da altrove, tipo dal Lussemburgo.

Bene.
La mia nonna diceva sempre “Si fa la torta con gli ingredienti che si hanno” che non sbagliava mai, la mia povera nonna. Sicché ho posto alcuni punti di fondo. Il primo è che mi sono rotto il cazzo di lavorare come un mulo da mane a sera trascurando la mia pubblica vita privata, mentre il secondo punto focale, secondo ma non per importanza, è che io stasera devo chiavare. E schizzare con un’espressione gioiosa e sudata.

Per cui, micro analisi.
Sul fronte delle bagasce, ove scrivesi “bagascia” in qualità di nome collettivo che sottende l’insieme conchiuso di una Ale, una Ines e una Nica, nessuna speranza di spremere qualcosa.
Molto bene, ne prendo atto, qualcuno leggendo riderà e gli scapperà un “te l’avevo detto”, che già la sento, ma non importa, prendo atto anche di questo e mi faccio coglionare come, forse, ma dico forse, mi merito.

Spostiamo quindi l’attenzione altrove.
Una soluzione moda: una scampagnata sulla Susy, assieme al Costa, come ai tempi della Vespa PX. La prendiamo, ci montiamo di sopra, ci facciamo un giro e due penne e poi la riportiamo in garage.
Ha un senso, ha un suo perché.

Un’altra soluzione classic è quella di farsi un bidè e andare a troie stradali. Che anche qui c’è il suo perché e lascia, oltretutto, spazio o a magici revival (Cocò, Sami per dirne due note) oppure lascia spazio all’avventura e all’esplorazione, avvolti nel turbine di Putains sans Frontieres.

Rimanendo sul free of charge, invece, c’è la proposta old memories, che consiste nell’andare a farsi offrire un altro caffettino dalla Giulia e, una volta tolte le batterie all’androide autisico, approfittare per esplorarle i bargigli nelle mutande calde e odorose di femmina matura con le vogliette sozze.

C’è poi sempre un pacchetto wild, destinato a un pubblico desideroso di esperienze forti e brevi, che vede una telefonata alla Squaw ordinandole di farsi un accurato bidè e di raggiungere la mia magione. La versione wild ha anche una variante wild premium platinum plus che è destinata a coloro che riescono ad ordinare alla Squaw le intime abluzioni e il rimorchio qui anche di un’amica di pari famelica troiaggine.

Per finire, esiste il sempre presente pacchetto Desperate Tennessee che consiste, al prezzo di una bottiglia di bourbon, di raggiungere la casa dalla Vichi e, con la medesima, spartirsi il superalcol mentre si fa mischiarella dei fluidi retto-genitali-salivari-urinari.

Insomma, amisgi, sei pachetu di uferta per Tasiubelu e andrà a finire che mi tiro quattro belle seghe coi porno della Divina Sasha Grey andandomene a letto presto.
Vi succhio rumorosamente gli apparati riproduttivi e vi do appuntamento a domani.

Pro e contro: consigli cercasi


Che poi io sembro un animale extraterrestre, ma alla fine alle cose ci penso e dico che no, che non deve essere per niente facile reggere la situazione della Giulia. Rimane sempre la Giulia coraggiosa di qualche tempo fa, solo che oggi la routine delle difficoltà la fa apparire sfigata. E questo è ingiusto.

Tornando in macchina mi sono fatto cogliere da un pensiero devastante, la cui pericolosità è pari a quella che deriverebbe dal decidere di andare a fare un bel falò in una polveriera.
Però, al di là della sua pericolosità, sarebbe una cosa giustissima e sacrosanta in termini umani.
Voglio dire, la Giulia è una donna in gamba ed intelligente e potrebbe benissimo fare da sostegno alla Betta in questo periodo. Il lavoro è dignitoso e potrei strapagarglielo per aiutarla, risolvendo nel contempo un mio problema e un problema alla Betta.

Ma questi sono i pro.
Ora vediamo i contro. Verrebbe a lavorare nell’ambiente in cui lavora anche il Costa, che va a letto con lei e la Betta che viene (veniva) a letto con me. Andrebbe a prendere un caffè di sotto dalla Susy, che viene a letto con me e col Costa. E poi, d’improvviso, non annunciata, potrebbe arrivare la Ade, che viene a letto con me, col Costa e con la Susy, senza contare tutto il pregresso tossico-corrosivo tra loro.
Direi di sì, una bella bomba atomica.

Ho bisogno di consigli seri.
E rapidi.

Giovedì


Bonjour.
Ore 05:57, situazione meteo.
Nebbia in graduale sollevamento. Vento da E con intensità di 7 km/h. Raffiche fino a 13 km/h. Temperature: 5°C la minima e 19°C la massima. Zero termico a 2950 metri.
SOLE - Sorge: 6:54, Tramonta: 18:05 LUNA - Leva: 11:00, Cala: 1:50 - Gibbosa crescente.

Ieri sera ho compiuto il giro di telefonate (“giro”, ne ho fatte tre) con il seguente risultato: Nica sta bene, stanca, raffreddata, ci sentiamo presto, ok. Ale seccata, non più facilmente intortabile con qualche balla Polaroid, ci sentiamo presto, sì sì credici, ciao Tazio. Ines  perplessa, ride per l’invito, guarda Tazio lascia stare non c’è problema, facciamo quando sarai meno “impegnato” e lo dice col tono con cui si evidenziano le virgolette.

Per cui, nell’ambito della promessa fatta a quella Persona, conscio di aver scazzonato, telefono alla Giulia. Un giovane androide autistico risponde al telefono e me la passa. Parole di rito, sentore di irritazione, lancio la mia fiche sul rosso: “Se passo di là, me lo offri un caffè?” che sortisce stupore ed una battuta corrosiva “Ti ha dato il permesso per un’opera caritatevole?” che glisso con signorilità british, mandandola amorevolmente a fare nel culo, consiglio che si è rivelato generatore di un sorriso e di un consenso.

Per cui, alle 21:30, sedevo su un divano di accettabile fattura, sorseggiando un caffè discreto, accanto ad una donna dall’aspetto trascurato e molto teso, ascoltando il fiume di veleno acido che usciva dalle sue labbra, mentre un androide autistico sedeva all’indiana davanti al televisore acceso, del quale alzava il volume a livelli paradossali, al fine di segnalarmi, qualora ve ne fosse bisogno, il livello di sgradevolezza della mia presenza ed il livello di fastidio generato dalle nostre parole sul divano. Lo so, siete invidiosi e vi capisco.

La Giulia era a lutto. Maglioncino di lana nero a scollo tondo, gonna gessata su fondo antracite, collant neri e ciabatte, struccata, visibilmente non frequentatrice della parrucchiera da tempo.
Casa in vendita che non si vende, ricerca di appartamento che non sacrifichi le abitudini di ciascuno, che non si trova, lavoro assente ed introvabile, qualche collaborazione, ma roba da fame, assegni singhiozzanti, Peppemmerda latitante, ora in Romania, ora in Ungheria, ora qui, ma per tre ore, mistero sulla sua attività, mai una telefonata. Vorrei sottolineare che il fatto che fosse un uomodimmerda non è una novità, ma non amo infierire e sorvolo.

Alle 23:15 l’automa autistico rompi maroni abbandona il campo, trasferendosi nella sua tana infernale. Sono esausto, frullato, depresso, scoglionato al limite della sopportazione. La Giulia, a voce bassa, mi dice che appena sentiamo che di là non c’è vita andiamo di sotto che c’ha una caccola. E così avviene, alle 00:25.

La caccola rende distesa la situazione e, finalmente, anche io riesco a dar pace alle mie orecchie ipersollecitate dal Gange di sfiga nera che mi è stata sin lì enunciata.
Allentare, allentare, allentare, chiacchiere morbide e poi si fa quell’ora, grazie del caffè Giù, grazie della visita Tà, baci, abbracci e notte fredda.

Almeno una cosa su quattro l'ho fatta.
Bonjour, bonjour, bonjour.