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sabato 7 aprile 2012

Pianificazioni e (o)scenari


E sediamo al Centrale e pranziamo a casaccio, c’è un sole in demo e fa caldino, anche se il venticello soffia fresco a ricordare che non dura, no, non può.
Mi parla di dettagli tecnici. Porta bebè di cuoio ingrassato testa di moro scuro, senza calze, jeans strizzatutto e una maglina blu a maniche lunghe e scollo tondo che le scopre le clavicole.
Le guardo le mammellette appuntite dal vento e penso che, se fossi una ragazza ed avessi le sue tette, non metterei mai e poi mai il reggiseno. E sicuramente nemmeno le mutande.

La situazione appare gestibile, dai. Si tratta di un mese, massimo due. E poi ha ampia libertà, mica deve timbrare il cartellino. E poi c’è Internet, skype e tutto il resto, che a seconda della fase potrebbe gestire il lavoro anche da qui. Sicuramente per i primi tempi sarà intensa, quello sì. Dovrà esserci dal lunedì al giovedì garantiti. Vorrà dire vederla partire alla domenica sera e rientrare il venerdì a pomeriggio. Primo pomeriggio da quel che mi dice. Non è drammatico, no.
Dormirà dall’amica, che si è resa disponibilissima ad ospitarla. E così dividono le spese, perché lassù gli affitti non son certo come qui.

Poi mi lancia lo stuzzico sozzo, che mi pare sia abilissima in questo.
“Sai che dormiremo nello stesso letto matrimoniale?” mi dice con un sorriso che forza a non diventare risata.
La guardo e non commento. Ma lei insiste.
“Lei dorme nuda…” e sorride sozza.
Non raccolgo la provocazione, anche perché se devo raccoglierla la stampo sul lampione e la chiavo.
E glielo dico.
“Se non fosse che ci arrestano ci starei… ho voglia…” e punta la lingua sul labbro superiore, studiandomi ridens da dietro gli occhialoni da sole.
“Ma quanto troia sei?” le chiedo con garbo signorile.
“Quanto te” mi fredda con un solo colpo, ridendo.
E mi bacia.

Torniamo a casa, Chiarè che ti devo far vedere una cosa.

Cottura ad elevatissima temperatura


Ed il mattino del sabato taziale pre pasquale e provinciale si consuma nella boutique magazzino internazionale di Domiziopoli.
Sosto davanti alla tenda del camerino osservandole i piedini nudi sotto il bordo della tenda.

Tenda off.
“Come mi sta?”
Vestito a fiori con oblò sulla schiena.
Molto bene, che bello. D’altra parte con quel corpicino cosa non ti sta bene?
Tenda on.

Tenda off.
“Come mi sta?”
Vestito smanicato con cappuccio.
Molto bene, che bello. D’altra parte con quel corpicino cosa non ti sta bene?
Tenda on.

Sosto assieme a matrone che assistono figlie racchione che cercano una soluzione che distragga dall’errore che la natura ha compiuto. Sono indaffarate, prodighe di consigli e veti, cambiano taglie, propongono modelli.
Non sono all’altezza della situazione. No.

Tenda off.
“Come mi sta?”
Camicia bianca, molto indiana, coi ricami sulle maniche e lo scollo rotondo che lascia uscire la spalla.
Molto bene, che bella. D’altra parte con quel corpicino cosa non ti sta bene?
Tenda on.

Tenda off.
“Come mi sta?”
Canotta all’americana, di quelle che si stringono sulla schiena lasciando scoperte le scapole, oversize.
“Cazzo, bene, molto ma molto bene. Girati un po’. Ma è la tua, guai se non la prendi” le dico da dietro guardandola nello specchio, estasiato dal fatto che di profilo l’ampia scollatura sotto il braccio mette in mostra la sfera perfetta di ciascuna mammelletta. Lei sorride e mi dice che lo sapeva. Mi sussurra "porco" e mi caccia di fuori. Che bello.
Tenda on.

Tenda off.
“Come mi sta?”
Completamente nuda, con una mano appoggiata al muro del loculo, con un sorriso a seicentosei denti.
“Magnificamente, il migliore” dico godendomi la situazione di estremo pericolo, considerato il via vai di commesse e le mosse inconsulte delle matrone impazzite.
Faccio un passo in avanti ed entro con lei, a tenda aperta.
Le allungo la mano tra le gambe e dico scientifico “Secondo me, però, ti tira un po’ qui” e le strizzo la passera irsuta mentre lei mi dice che è vero, che lì sente tirare anche lei.
Poi ride e mi caccia.
Tenda on.

Mi fa uscire di testa.

Considerazioni timide del sabato santo taziale pasquale


Bonjour, bonjour, bonjour.
E’ il santo sabato taziale pasquale. C’è una foschietta che si diffonde per la campagna ed io staziono a guardarla in ultrapanavision, digitando signorilmente seduto a tavola nella mega cucina, osservando dalla mega finestra che dà sull’entusiasmante pergolato.
Sono tornato a frequentare intensamente la Chiara dal 10 marzo. Quasi un mese.
Ed è da un mese che ho chiuso, saldato, blindato, sotterrato qualsiasi tipo di altra frequentazione.
Sì, lo so, la promessa in premessa era guai a farsi domande.
E non ho intenzione di farmele nemmeno stamattina, sia chiaro e cristallino.
Lei non mi chiede nulla, io non le chiedo nulla.
Nel mezzo ci sta un esotico ed erotico caramello caldo ed avvolgente su cui è vietato fare domande.
Dialoghi stimolanti, sesso stimolante.
Senza domande.
A volte mi corre un brividino lungo la schiena e avverto l’esigenza di una garanzia rassicurante.
Poi prendo fiato, mi guardo indietro e dico che non serve a un cazzo.
Non c’è niente da fare, nella vita ci vuole un po’ di culo.
Se ti capita la sfiga, nessuna garanzia ti mette al riparo.
Bonjour, bonjour.
E’ sabato.

venerdì 6 aprile 2012

Per un istante


Cosa cambia, mi chiedo, se ciò che mi mormori lurida è vero oppure no? Cosa cambia se il quarantenne maiale sulla spiaggia nudista non è mai esistito? Cosa cambia se non sei mai andata a scuola senza mutande? Cambia forse qualcosa? No, non cambia nulla, assolutamente nulla e ti guardo mentre mi spoglio senza dire una sillaba e mi guardi e ti contorci sul divano come una piccola serpe affascinante spogliandoti anche tu, furiosa, con gli occhi fin lividi dalla voglia, fiera di farmi bollire il sangue quasi al limite del controllo e ci spogliamo, io in piedi, tu seduta e mi guardi il cazzo duro da far male, scuro da quanto sangue gli hai fatto pompare dentro con le tue sussurrate lordure da troia suprema, che se son vere sarai il mio delirio, ma se sono inventate è quasi anche meglio, perché significherebbe che hai una sensibilità sibaritica nel leggermi e darmi il combustibile che bramo, per poi diventare il comburente che fa esplodere la bestia che fatico a tenere al guinzaglio e tu, in entrambe le opzioni, stai facendo di tutto perché le maglie del guinzaglio si spezzino e giochi, giochi pesante, con un sorriso laido, mi bombardi di stimoli, mi dai frammenti perfetti, infilati come perle in una collana, uno dietro l’altro ed allora appena sei nuda ti tormenti la figa esibendomela a gambe spalancate e io non sbatto nemmeno le palpebre e ti guardo, ti guardo mentre sollevi con ambo le mani il tuo piede sinistro e porti le dita a schiacciarsi sul naso e inspiri rumorosa ed espiri guardandomi con gli occhi bolliti di lussuria ed emetti un sussurrato “ahhh” e inspiri di nuovo, ancora e ancora e ancora e dopo avermi sussurrato “voglio impazzire stasera” tiri fuori tutta la lingua che hai scorrendola lenta sulla pianta, guardandomi, succhiandoti le dita in posizione acrobatica, controllando in continuo a che punto di pressione arteriosa stai portando il mio sistema circolatorio e io conto fino a cento e ti guardo, che così non t’avevo mai vista, ma nemmeno sospettata, nemmeno un istante, mai, mai.

Ti vengo vicino senza dire una sillaba, lento, brandendo il cazzo duro da lacerarsi e mi guardi con gli occhi sporchi, arretrando sul divano, sorridendo, dicendomi “Hai voglia di farmi tanto male, vero Taz? Mi vuoi fare tanto male? Fammelo…” ed è inevitabile, persino se usassi dei farmaci, persino in quel caso non riusciresti a fermarmi perché mi hai trascinato oltre il muro, nel buio dei cespugli ed ora io sono qua, che ti spalanco le gambe sollevandotele per le caviglie e, senza mani, senza cura, senza pietà, ti conficco la verga di marmo nel buco inzaccherato della fica e ti fotto. E tu urli quando entro diretto e poi ti lecchi le labbra e sorridi scomposta, mentre sbatto i coglioni sul tuo buco del culo e aumento la velocità e tu piangi piacere e soffi aria dalle labbra, con gli occhi piangenti, con quello sbruffo infantile, aspirando e soffiando, mugolando acuta ed ora inizio a parlare io e ti chiedo se tutto quello che hai detto corrisponde a realtà o a fantasia e tu giuri e spergiuri, ansimante, senza fiato, fissandomi dritta negli occhi e ti sbatto come un pistone e aggiungi con voce malferma e interrotta dall’ansimare che prima di me non lo avevi mai detto a nessuno e allora pianto io, questa volta, il naso tra le tue dita dei piedi e perdo il controllo, perché il tuo sudore è sublime, delizioso, divino, lo sento mio e ti sbatto fortissimo, sudando e tu cominci a venire e io non posso resistere e mi piego su di te passandoti le braccia sotto la schiena e mi abbracci, mi stringi, ti stritolo, poi smetti di respirare e rimani a bocca aperta ed occhi chiusi e io faccio lo stesso, tentando di accelerare i colpi e ti sento molle, senza vita, abbandonata, ma poi inspiri fortissimo ed espiri in un grido, stringendomi, urlando che vieni e comincio a venire e sento che mi bagni la pelle del pube e veniamo assieme, magnificamente, meravigliosamente, follemente.

Ti stringo, sudata, puzzolente, animale come me. Stiamo lì nel niente a dir niente e a far niente e io penso. Penso a te, a Londra, penso che dopo un po’ non farai più su e giù e ti capisco, non ti condanno di certo, né antepongo personali egoismi a questioni di vita, ma mi interrogo su quel che sarà di me, su come reagirò, cosa farò e poi giro la testa e stai guardandomi, con gli occhi sereni, perché sia la tua che la mia bestia ora riposano. Almeno per un po’.

“Mi mancherai quando sarai a Londra, sai?” ti dico come una collegiale mestruata al parco, di sabato.
Non dici nulla e metti la cascata di fusilli sul mio petto, abbracciandomi, e ti carezzo la schiena.
Poi sollevi la testa, ti appoggi e mi guardi negli occhi e sorridi e sei bellissima. Mi guardi un occhio, poi l’altro, poi la bocca, sollevi le sopraccigilia, prendi fiato e io non respiro nemmeno in attesa che tu dica quel che stai per dirmi, ma poi mi guardi e con gli occhi ti dico di no, di non dire niente che non sia comprovabile in maniera scientifica e pare che mi ascolti e capisci e, alla fine, dici.
“Non pensiamo a Londra. Pensiamo al week end lungo che sarà bellissimo”.
Grazie, Chiara.

Pasqua svuota tutto


Si è svuotata la bottega, con frettolosa mestizia. La Betty, la Giogia, il Loca, ciascuno con il proprio magone ed i propri affanni. Ciascuno scappa via, va, si nasconde, si tuffa nel nero, non è Natale, no. Il bar della schifosa, qui sotto, ha già chiuso. Anche lei va, scappa, si rintana nel buco assieme al suo calabrofuco ed alla concubina comune. Zack è in ferie, Matt e la Greta anche. La Patty non c’era, non è il suo giorno di turno. Rimane per ultimo l’Umbe che mi fa gli auguri, mi abbraccia e mi prega di estenderli anche alla Chiara e io so cosa pensa e rivede e mi piace.
Mi prende l’ansia per un istante.
Ma poi passa.

Il sortilegio della consapevolezza


Lo fai spontaneamente, senza mie pressioni, senza mie indicazioni e questo mi fa capire che hai il potere assoluto e la cosa mi indispettisce, perché mentre abbassi quelle mutande azzurre e ti inginocchi sul divano spingendo in fuori il culo per ostentare ed esibire i buchi in cui evidentemente celi una voglia bollente, ebbene, in quel momento provo una  folle eccitazione, ma anche il disagio di eccitarmi a tuo piacimento e questa è cosa strana, poiché io per statuto bramo quel tipo di donna che si svergogna e si rende oscena per la mia eccitazione e poi tu mi guardi con la faccia premuta sullo schienale, rivolta all’indietro a controllare l’effetto prodotto, perché lo capisco e concordo, questo gioco è una miscela, fatta di autocompiacimento nell’osare e ostentare e svergognarsi e stracciare qualsiasi pudore, ma anche bearsi dell’arrapamento bestiale che generi e, guarda caso, cominci molle a raccontarmi piccoli sudici segreti con un sorrisino da giovane troia in calore, mentre io premo appena la punta dell’indice sul tuo ano odoroso, sudato e peloso e lo muovo, senza penetrarlo, lo massaggio e lo muovo in circolo, godendo della vista della carne oscena che trema sotto il movimento che imprimo e tu grugnisci sottovoce di quell’anno in vacanza, che tu ne avevi quindici e che andaste tu, la mamy ed il papy all’isola franca di Porquerolles a fare i nudisti, ebbene, quell’uomo sposato che ne avrà avuti quaranta o anche più, con l’aria da lurido porco arrapato, che ti fissava senza posa nonostante la moglie fosse figa e nuda e di fianco a lui, quell’uomo ti metteva dei terremoti nelle tenere ovaie che avresti voluto che ti facesse di tutto e io provo delle scosse nel midollo spinale e poi a un tratto, non so perché, non so come mai, non è da me, non lo è mai stato, ma mentre mi ritrovo con un marmoreo cazzo rampante ad ascoltare le tue lerce fantasie adolescenziali con l’uomo maturo e sposto, mi scatta spontaneo l’alzare una mano e assestarti secca una fortissima sculacciata sonora sulla natica destra.

Stac.

Mentre osservo l’impronta fucsia della mia mano formarsi sulla natica mi scappa lo sguardo ed osservo il tuo viso e vedo che ti si inzaccherano gli occhi di sudicio ed accenni ad un compiaciuto sorrisino schifoso e ricominci a raccontarmi di che cosa ti saresti fatta fare da quel porco arrapato a cui piacevano le ragazzine e mi descrivi il turgore del cazzo e la forma della cappella e la voglia di fargli un pompino davanti alla moglie, sancendo imperativa che il suo tempo era andato e che, ora, chi vince e regna è la quindicenne ultrasozza e la voce ti si fa bassa, perché ancora oggi a pensarci ti tira la fregna e la cosa che mi manda in delirio è che ci tieni che io sappia e ti trovo così troia, così lurida e sozza che sento nuovamente un impulso e alzo la mano, più alta, facendola scendere veloce a colpire con maggior forza la stessa natica già impressa di rosso.

Stac.

Sussulti, ti mordi il labbro socchiudendo gli occhi e sorridi e due mani rosse sovrapposte di ornano la pelle del culo e ti fermi, poi deglutisci, poi apri gli occhi e mi dici di quando, al liceo, un giorno, seguendo chissà quale ancestrale troiesco istinto inspiegabile, ti mettesti i collant coprenti rosa confetto e non mettesti le mutande di sotto ed andasti a scuola così, con la vergognosa sensazione di essere nuda, lasciandoti dominare da un’eccitazione leggera, continua, mischiata al terrore arrapante che qualsiasi evento adulto e istituzionale, come la famosa visita medica, ti imponesse di toglierti i collant rivelando che sotto c’era solo la tua fica gonfia e umidiccia, dichiarando a chiunque che eri una promettente gran troia vogliosa e io ti colpisco il culo con forza e tu stringi i denti con gli occhi chiusi, entusiasta e trionfante di riuscire a guidare il mio istinto animale dove vuoi, traendone godimento perverso.

Stac. Stac. Stac. Stac. Stac. Stac.

Mani rosse su entrambe le natiche e tu spingi in fuori il culo di nuovo e la fregna ti si schiude, mostrando il luccichio della suga che ti bagna di dentro e tu ricominci, lenta, roca, dicendomi che ti vuoi rasare la fica e ti chiedo il perché e tu non esiti a rispondermi che vuoi che te la si possa vedere con ampia chiarezza, senza che solamente un pelo possa sottrarre alla vista un solo micron della pelle di sorca che mostrerai e ti chiedo a chi la vorrai mostrare e mi guardi schifosa e sorridi e mi dici “a chiunque” ed aggiungi molle che ti piace mostrare la fica, ti eccita, ti accende e io ti colpisco furioso e tu reclini il capo all’indietro mugolando dei gridolini di apparente dolore.

Stac. Stac. Stac. Stac. Stac. Stac.

Picchio ritmato, regolare, intervallato, godendo dei tuoi sussulti e dell’arco teso di schiena vestita, arco che accentui per sottrarre d’istinto le natiche vittime, ma solo apparentemente vittime, perché qui la sola ed unica vittima sono io ed è inutile sfoggiare, dipingere, vantarsi di ruoli che ho, certamente ho, ma solo perché me li hai dati per usarli a tuo piacimento e, mentre osservo i segni delle mie mani sulla tua pelle, capisco che tu stai segnando la mia anima nera assai più intensamente degli schiaffi sonori che imprimo e, al contrario di quei segni che tra poche ore saranno scomparsi, ciò che incendi dentro di me non sarà così facile spegnerlo.
E tu lo sai e provvederai a ravvivare quel fuoco di continuo.
Ecco servitami la ricetta erotica più succosa del mondo.
Sono consapevole di essere la tua preda.
Consapevolezza, che parola meravigliosa.

giovedì 5 aprile 2012

Squinzy Presidente


Come ho scritto in risposta a Ganfione nel post precedente, al momento di telefonarle, ieri sera, ho deciso d’improvviso che sarei uscito con lei e che della Casa non me ne fregava un sonoro cazzo.
E così abbiamo mangiato all’Osteria Quellanuova e mi sono fatto raccontare tuttissimo di questa due giorni torinese. Non le ho detto niente, ovviamente, ma mi sa che non reggerà tantissimo, perché è, fondamentalmente, un lavoro di merda.
Di questi tempi, comunque, meglio un lavoro di merda che una merda e basta.

Se m’avesse chiesto di rimanere a dormire da me le avrei detto di sì, lo dico chiaro e tondo. Ed ero anche convintissimo che l’avrebbe dato per scontato, il rimanere a dormire da me. E invece, stupendomi, alla volta di mezzanotte e qualcosa, dopo uno sbadiglio da otaria, mi ha detto che andava a casa.
A casa dei suoi. E io non l’ho trattenuta, perché sono convinto che si debba andare piano.
Domattina arriva il Papyindustrialdesigner, dopo dodici ore di fottuto aereo del cazzo da Shangai. Mamypainter arriva anche lei in mattinata e questa notizia la rende meno felice della precedente.

“Allora stai da me a Pasqua? Sicura che non ti faranno casini?”
“Massì, Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi, no?”
“Sì, ho capito, ma Papyindustrialdesigner arriva dalla China misteriosa e sua figlia evapora, non sarà raggiante, credo”
“Ma dai Taz, ci vediamo domani, sto là anche sabato e poi telo sabato pomeriggio. Poi mica sto da te sino a Ferragosto, martedì torno e facciamo tutti la finta happy family”
“Martedì torni a Torino, mi pare”
“Oh macheddueppalle. Sarà mica che non mi vuoi tra i coglioni?”
“No, ti voglio eccome sui coglioni, dicevo solo per crearti sensi di colpa”
“Stronzo”
“Senti, ma dimmi, come sono questi primi giorni alla guida di Confindustria?”
“Eh???”
“Lascia stare”
“Ahhhhhhhhhh adesso ci sono. Un figata, Taz. Una figata”
“Ah. E la Emma? La Emma come l’ha presa?”
“L’ha presa a novanta, come al solito”

Eh già.