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mercoledì 4 settembre 2013

Il tempo delle mele

E mentre lei versa libbre di inutili parole scomposte e scoordinate, iniziando decine di discorsi che, immancabilmente, germogliano incisi di mezz'ora che farebbero perdere il filo anche all'attento Poirot, le guardo le dita dei piedi, ben visibili dal sandalo alla schiava che quest'anno va tantissimo e considero che mi sono chiavato traghetti di figa, ma che dei piedi come i suoi forse c'era vicina la Domi, ma a una lunghezza dietro, perchè quei piedi a me mi fan perdere il controllo, anche se lo smalto rosso corallo non mi fa impazzire, ma poi salgo e mi godo la caviglia sulla quale giace mollemente adagiata una ridente catenina d'oro sottile, poi salgo ancora a godermi il polpaccio e la coscia scosciata sotto il vestitino color buccia di patata al selenio e mi chiedo se c'avrà le mutande, sapendo che la probabilità che ce le abbia è inferiore al tre per cento e penso, penso, penso, penso a tante cose, cullato dalla nenia sciocchina dei suoi raccontini pseudo divertenti, al culmine dei quali, per fortuna, vi è il rito della sua mano che mi tocca il ginocchio che è il segnale che è il momento di ridere e io rido.

Rido coglione, non sapendo manco il perchè sto ridendo, ma l'insieme è perfetto, poichè io  me ne sbatto il coglione dei suoi racconti e lei se ne sbatte la fica che io li stia ascoltando o meno, dato che li racconta a se stessa in un esibizionistico onanismo verbale consumato davanti a terzi.

Il Ruggi è in Francia, felice e contento, appassionato di vendemmia, vino, accoglienza e fica pelosa della sua socia, tanto lui da là guida tutto, controlla tutto e decide tutto, mentre qui son rimasti solo i rottami, io, lei, il bar Centrale e solo il ricordo della tensione che si respirava come se spetsnaz in incognito fossero pronti ad agire, uccidendomi.

La guardo mentre squittisce le sue inutili parole e trovo che sia divina con i capelli corti di quel taglio che quest'anno va tantissimo, con quella bocca che mi ricorda pompini teatrali che mi mancano molto, la guardo e mi sembra sempre perfettamente identica, senza una ruga, giovane, vuota, blasfema e volgare come solo lei sa elegantissimamente essere.

Non oso interromperla perchè è una manna poterla guardare senza lo sforzo di dover modulare un concetto che lei sia in grado di comprendere, perchè è così rilassante star seduto al Centrale semi vuoto a guardarla e a rimembrare le dimensioni impressionanti del suo magnifico ano dilatato e poi alla mente mi corre quel pensiero delizioso di falre entrare una mela nel culo, come ho piacevolmente ed entusiasticamente visto in moltissimi pornetti, compagni di sempre di interminabili seghe.

"E tu Cicci? Conta dai! Che fine hai fatto?"
Che peccato, questa domanda conduce la situazione ottimale verso una cosa che rappresenta l'avvio di una dispendiosa contraddizione nei termini, nota con il nome di conversazione.
"Ma niente, Ade, ho lavorato, un po' qui, un po' là" e mi piace muovere la mano come Moretti quando indicava che si muoveva, all'amico che gli chiedeva se passasse tutto il giorno sulla panchina davanti alla scuola.

La Ade, fortunatamente, non è assolutamente mai interessata alle questioni altrui, per cui ogni genere di risposta va bene e smorza un pochetto la 'conversazione', sortendo un "Ahhh" che chiude l'argomento in via definitiva.

Vi chiederete, ragionevolmente, come mai io fossi seduto al Centrale con la Ade e io vi risponderò con precisione: ieri sera, in preda ad un gesto inconsulti, ho deciso di avviare un esercizio forzato di uscita dalla solitudine patologica in cui sono sciolto, sia per congiuntura, sia per volontà, decidendo di tornare al paesello per vedere qualcuno e parlare, visto che (come Rambo in Rambo I) non parlo per giorni con nessuno. Ed allora, a bordo della Smart che, seppur odiandola, è il mio unico mezzo di locomozione, ho coperto quei pochi chilometri che separano il capoluogo di provincia taziale in cui risiedo temporaneamente e ho raggiunto la piazza di Taziopoli.

E lì c'era lei che, per un'incomprensibile ragione, mi ha fatto tante di quelle feste che neanche un Setter irlandese me le avrebbe fatte. Ha abbandonato il gruppuscolo e si è seduta a un tavolino con me ed ha attaccato la macina da mulino ed è quanto.

Chiuso l'argomento in via definitiva, dicevo, rimaneva la concreta possibilità che ripartisse il macchinario, ma invece no. Con un'aria intrisa di troiaggine eccelsa, troiaggine che ho sempre adorato, che adoro e sempre adorerò, ha avvicinato il sandalo alla schiava, che quest'anno va tantissimo, alla mia caviglia facendomi piedino, ha attivato lo sguardo in [mod ficaaffamata on] e mi ha sussurato "Mi sei mancato pisellone" che in un'altra circostanza e con un deterioramento cerebrale più ridotto, mi avrebbe indotto ad una sganasciata sonora, data la pateticità della scena.

Rimanendo nella sceneggiatura porno, ho risposto a quel gancio con un bavoso e cupo "Ti sfonderei su uno di questi tavolini", spingendomi in avanti ad accarezzarle il polpaccio, sortendo un gemito sozzo come da copione.

Ed allora via. "Ce l'hai il mio nuovo numero di cellu?" gorgogliato sempre in modalità ficaaffamata on.
"No Ade" - "Scrivi Cicci".
E Cicci scrive, ridando vita a quella opportunità di veder vibrare di goduria il parlàfono con la scritta ADE, come ai vecchi tempi di merda.

Conforto dell'anima, porto sicuro, azioni e reazioni note, collaudate. Basterà telefonarle proponendole di farle dei clisteri e la bella troiona sarà nel mio letto con uno schiocco di dita, pronta a farsi infilare il cazzo in tutti gli orifizi, pronta ad assecondare qualsiasi perversione mi ammorbi, pronta a fottersene della mia esistenza e dei miei sentimenti e delle mie crisi personali, pronta a scomparire senza segnali, come ai vecchi tempi di merda.

Non so se è carico di qualcuno, non so cosa rischio, non so un cazzo di niente e un cazzo di niente voglio sapere, perchè un ferro da stiro è un ferro da stiro e non potrà mai essere uno scooter. E questa la voglio mandare via email a Bersani, che son certo la apprezzerà.

Io, intanto, nella nota della spesa ho scritto: "Mele, cazzo!".

E adesso vado a bermi un paio di Americani al bar, perchè ho bisogno di schiarirmi le idee e capire se dovrei essere più depresso o no.
Perchè a me mi sa di sì, mi sa che dovrei.