Pagine

sabato 20 agosto 2016

Emmenomale

Quanto lontana è l’Estonia? E la Pizzoscrofia? E la Ludronia? E mentre mi ripasso la geografia, che sai mai che un dì non mi venga chiesta, mi rendo cosciente che né l’ano della mia fidanzata, né il mio, sono oggetti e riferimenti graditi, anzi banditi, nel passato concessi, d’accordo, ma nel futuro vietati, poiché forieri di disagio emotivo, così come la continua (parliamone che ce ne sarebbe) ricerca di posizioni acrobatiche che mal si addicono ad un’indole schienaiola missonaria che, dal mio, schifo non fa, ma guai posare le gambe sulle mie spalle, poiché la postura affatica le di lei reni che dolgono e, sovente, rendono difficile la respirazione.

Questo l’argomento, che la poveretta ha dovuto piegare sotto la pressione della sua tendenziale vergogna d’esposizione. Poiché: “la delizia di approcciare al tuo meraviglioso cervello passa per le Forche Caudine della tua depravazione, che accetto sinché non pone in grave imbarazzo la mia natura diversa, Tazio” ma certo, Concetta, ci mancherebbe, figurati, anzi, sai che c’è? Mi spiace e non succederà più.

Non più. Perché io non fumo, non bevo, non mi drogo e ora pure chiavo poco e morigeratamente, perché è la salute il mio goal, non il piacere immediato, peccaminoso e insalubre. Io godo dei risultati, delle lunghe battute, che perseguo nell’estasi sublime di divenire un pupazzo asettico dalla bella pelle e dai sonni foderati di Rivotril e En, condito con Cymbalta e non più Serenase (che farmaco innovativo e di recente scoperta), ma talvolta farcito di Xanax e sicuramente spruzzato di Lyrica, non quella teatrale, ma quella teatrata.

E mi chiedo che fine avrà fatto il Guascone, che ho lasciato nella tetra Praga a destreggiarsi di arcano idioma e prevedibili idioti par suo. Mi chiedo dell’Umbe, del Zack, del Max e delle vacche scrofe mignotte a drappello di santità e nel losco sguazzare neuronale mi compaiono d’assalto i piedi dell’Anto, così umilmente offerti alla Furia Depravata della chiavagione cieca e dissennata del belluino Taziosauro, piedi così troiescamente agghindati da materiale casalinguo di risulta, ma efficiente ed efficace alla bisogna, al liquescente riattizzare il noto piacere parafilico che mi affliggeva e pasceva, ridondando i suoi echi isterici nei sommessi ghigni, sozzamente mormorati tra le luride labbra delle fiche cannibali che cotanto piacere non avevano, magari, forse, forse non avevano mai assaporato, ma non è di imprimatur che mi nutrivo, per cui penso, penso, penso, penso all’odore di femmina tra le sue dita sudate, mi faccio microbo per albergare nei suoi miasmi animali più intimi, nei suoi segreti più luridi che certo non può rivelare al Saaarti, puttaniere d’avanspettacolo a basso costo, cerebroprivo e insignificante semiotico, ma segreti che compaiono, in dissolvenza, talvolta d’improvviso, mentre cavalca il bidet seminuda alla sera, a gambe larghe, volgare cavallerizza da stalla, giumenta dai piedi scalzi e dalla fica bagnata d’acqua su cui scorrono le dita che si fanno foriere del messaggio ficale che implora un orgasmo sudicio, consumato nell’intimo pensiero di sozzure subite e inflitte ed il mio Ultracazzo si intosta, si erige, svetta, rampazzo di vene e cappella nuda e lucida, tesa, scura, che tira il frenulo sino al dolore, mentre penso di inforcare quel buco del culo rilassato della giumenta pornografica che dà ristoro alla segreta fica cannibale e mi vedo dietro lei a denudare le bianche natiche e ad inalare quel caldo soffio che l’ano spalancato dalla sodomia rilascia generoso nell’aria.

Fortuna che non sono più quel Tazio e che certe cose non mi passano per la mente più.
Emmenomale.
 

 

martedì 16 agosto 2016

Sic transit ferragostum Tazii. O giù di lì.

Ferragosto da schianto, raga. C’era anche il gelato, ohè.
Poi c’erano tutti gli amiciparentiamicideiparenti che linguisticamente era un paradiso per le orecchie sentire il calabroemiliano, davvero figus.
Forse a tratti togo.
Sicuramente togo quando cercavo di spiegare, in seguito a precisa domanda, cosa faccio nella vita e circa a metà dello spieghino il mio interlocutore cominciava a parlare ad altri.
Togo no?
Al terzo ho detto che faccio il tipografo.
Mi ha detto “ah” e ha iniziato a parlare a un altro. Ma almeno ha detto “ah”.
Toghissimo.

Poi lei mi dice “ti fermi da me?” e io dico “”, ma forse dovevo dire “no”, non so.
Alle tre del mattino ero sulle lenzuola ignudo come tre bronzi di Riace e lei arriva in mutande e canottiera e si stende in un gemito, dandomi le spalle.
Le faccio sentire sullo spacco culeo la potenza del nerbotortòre, già mitico punitore di settentasette armenti di agnelle infoiate, e lei dice la frase.
Perché esiste LA frase.
Quella definitiva, terminale, metastasica.
Quella detta a boccuccia alla buco del culo di pollo, con tono con cui ci si rivolge agli infanti irrequieti.

Ma amore hai solo in testa quello tu, dai su. Sono esausta.
Le chiedo scusa e mi giro, dandole le spalle.

Sic transit gloria mundi.
Bah.