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venerdì 25 agosto 2017

Non so gestire queste eventualità.






Fresche le frasche che stormiscono e friniscono estive di cicale puttane e incoscienti nell’ora del tramonto fatto di odori verdi e zanzare, in quell’ansa solitaria dove sorge la Margheritiana Magione che non frequento da un bel po’, ma vè chi c’è!, ma potevi avvisarmi che arrivavi!, ed incede sensuale in ciabatte infradito bluette, ordinarie, attraversando il giardino ubertoso, avrei messo qualcosa nel frigo!, non preoccuparti mia Dama, ecco tre bottiglie di champagne della marca che ami, Barnaut, gelate, oh amore mio grazia! come sei bella, bugiardo, vieni che ti bacio, dio che lingua Margherita segreta, sei senza reggiseno che quel prendisolino con le bretelline ti scopre tanto la schiena abbronzata, sei stata in ferie Mia Signora? un mese a Cervia a tenere il piccolino, ma guarda che pelle che hai fatto e ride di denti bianchissimi e perfetti, stringendo gli occhi, gli occhiali piantati nella chioma argentata, bellissima, il Barnaut è giunto alla base, nel frigone imperiale, ma fatti palpare, sì palpami che sei un maiale, è ben quello che ti piace, non solo e lo sai, sei così bello da svenire Tazino, baciami ancora e scivoliamo contro il frigo con le carni che si scoprono, mutandine di cotone con le cappe sui bordi, che sapore di pelle che ha sudato, meraviglia sublime.

La luce del giorno si arrossa, calmandosi e giacciamo nudi sul letto imponente, di noce e di radica, il suo odore antico di corpo umano femminile sulle lenzuola bianche stropicciate, annuso, dormi nuda mia Dea? sì, mio fido scudiero, e la mano mi strozza i coglioni e graffia di sotto e poi sale con l’unghia fino al buchino del piscio, sorridente, maligna, sei il demonio mia Padrona, sì, sono il maligno che ti fa godere, lasciami giocare, gioca mia maligna, infilami il mignolo nel buchino che so che è cosa che ti piacerebbe farmi da tempo e sento il bruciore, il dolore dell’unghia che scava nel forellino che si dilata e tremo pensando che stavolta lo farà e si fa seria, ammorbata, intenta, decisa e sento la carne del cazzo allargarsi e mi rilasso, promettendole lo stesso trattamento al suo buchino e una voce soffiata e incupita mi sussurra un erotico “accomodati” e comincio a godere di dolore lento e la vista di quella falange ossuta che si infila nell’uretra mi eccita, cerco la sua lingua, salivosa, grossa, calda, bovina e saporita di gusti, la pelle sottile, i suoi movimenti sinuosi, senti dolore?, sì, e ti piace?, da te sì, un soffio aspirato tra i denti la fa somigliare ad una pericolosa vipera e mi piace e la schieno di botto e la vedo sorridere, stavolta ti inculo Margherita Regina, fallo, girandosi di pancia ad offrirmi terga morbide ed arricciate di pelle e tatuate di pallore che celano nel mezzo un carnoso bocciolo estroflesso che mi affretto a colmare di tutta la saliva che posso, spalmandola all’intorno, spingendola al di dentro con un dito, poi due e la mia Regina ansima col capo argentato nascosto tra le braccia incrociate e io premo, il calore, la carne che cede remissiva, un mugolio tra il dolore e il piacere, il retto vellutato e umido, scivolo dentro tutto e la copro, baciandole il collo sudato e mi muovo come un serpente nella tana, a mio agio, sicuro, insolente.

Che intimità nel tuo culo Maggie e sorridi, ma lo sai che mi faccio le seghe pensando alla mia mamma?, un bagliore, un risveglio, un sommesso invito a dirle di più e io snocciolo precisi dettagli, mentre il suo culo da statico comincia ad animarsi e i suoi scomposti grugniti sensuali si addensano, sei la Bestia Tazino, ma lo avresti fatto davvero se lei t’avesse lasciato fare?, credo proprio di sì Maggie e il suo culo contrasta morbidamente i miei affondi signorili, continua Tazino, voglio sapere tutto quello che ti eccita e io continuo, sbrodolo, sbavo nelle sue orecchie le mie voglie, parlandole di cazzi nel culo e di maschietti muscolosi, di un sogno pomeridiano di chiesa estiva, con una Dama che apprezzi il piacere di profanare il sacro, prestandosi a giochi erotici sui banchi in fondo, nel confessionale vuoto e la vedo farsi seria e stringere i denti respirando affannosa e conosco quel modo, la sento stringere esausta quel buco antico e continuando nelle visioni maniache la sento venire tremante, sozza, eccitata di lurido, mentre mi esorta a continuare, occhi chiusi, bocca piangente ed io allora sbatto, nel culo, senza pietà, parlandole di giovani femmine o giovani maschi legati ad un tavolaccio in fondo ad una segreta, per il nostro piacere oscuro perpetrato sino a sentirli bestemmiare di doloroso piacere laido contro natura ed estremo e un sussulto grugnito mi chiede se mi eccita il turpiloquio e io confermo, sollevandola per poterle pizzicare i capezzoli grossi ed estrusi sortendo un gemito nuovo che mi spinge a bestemmiarle sussurrato in un orecchio, insultandola, sentendola aprire le gambe per prenderlo nel culo di più, oscillando come un delicato pendolo che accentua il piacere anale, sei un pervertito, un malato, un depravato, sì, sono tutto questo e anche di più, sono la Bestia che sogni tra le tue sozze dita mentre ti masturbi nell’orto, che il piegarti ti allarga il buco della fica e vorresti essere piena di cazzo ignorante, suino, popolano, ma ancor più articolatamente deviato, amante di piaceri oscuri, neri, notturni e bui e lei sussulta come in preda ad una crisi epilettica e con un tono di voce molto alto mi dice una serie di “sì” assertivi e premianti, ai quali io rispondo strapazzandole l’intestino senza cura attenta verso la sua sacra senilità, ma volta solo alla sua dirompente ed inimmaginabile sessualità complessa, complessa forse al pari della mia e la giro di schiena, deponendola con grazia e devozione sulla pelle madida, ammirando i bagliori che il sudore ha disegnato sul ventre magrissimo e sui piccoli seni irti di cazzetti di carne rugosa e le spalanco le gambe portandole sulle mie spalle, chiedendole in che buco voglia il grancazzo, ricevendo soffiato un “fica” con la “c” a suggello di una liturgia condivisa, della presenza sulla stessa pagina dello stesso libro, a conferma della voglia di incamminarsi e raggiungermi per vedere dove si andrà.

Ed io fotto, profondo, stalliere maniaco, annusandole le ascelle amare e piccanti di speziato sudore terreno e irrisolto e poi i piedi, aromatici di incenso e formaggio tenero e grasso e godo e mi lascia fare, godendone, seria, presa, compresa, rapita, sopraffatta da una sorpresa che l’ha stupita del non poterla controllare e che, tantomeno, potesse sortire quell’effetto di frusta sui suoi gangli nervosi addormentati da tempo, ma sempre vivi, coscienti, seppur sopiti e mentre sbatto la Minchia Maestra nel buco rilassato di carne frolla, mi chiede in un soffio, a occhi chiusi, quasi timida, se la Bestia necessiti che lei sia la mia mamma e io rispondo di sì, aggiungendo anche che la Bestia richiede che lei sia la sacerdotessa del male, nuda sotto un saio nero mentre si celebra l’oscura condivisione rituale di un giovane corpo nudo, ma anche insospettabile madama nel luogo sacro ai cattolici, a condividere sozzure laddove si imporrebbe devozione e meditazione e mi segue, a bocca aperta, godendo intensa del mio lento affondo e delle mie scellerate proposte.

“Vienimi dentro, subito, adesso” mi intona con drammatica intensità ed io la apostrofo, puttana!, chiedimelo come devi, troia!, voglio sentirti blasfema e volgare e un mite ed incerto “Sborra… sborrami dentro…” giungendo le mani dietro al mio collo, tesa, alienata di piacere nello sguardo, alienazione portata al picco con un mio “vorrei ingravidarti, femmina troia” – “il figlio della Bestia…sborra cazzo, sborrami tutta, scopami…” – “puoi essere di più, insisti…” – “riempimi di sborra l’utero, cazzo, dai, sto venendo, porcamadonna dai…” ed io, estasiato dal mio potere plagiante, dalle mie doti affabulatorie, vengo calcando la mano sui grugniti e le blasfemie che ci portano ad orgasmi vicini, seppur non perfettamente coincidenti.

***
La notte avvolge. E’ la notte di un’estate in calare, seppur ancora piena di suoni di insetti e creature e vita.
Avvolge i nostri corpi avvolti a loro volta di reciproca pelle e di pensieri travolgenti, confusi, esaltanti, in un abbraccio stretto, amorevole, delizioso, odoroso, terrestre, umano.
Sorseggiamo a collo lo champagne di classe che mal concilia con le liquamate versate poco prima.
Cerco la sacca e rollo una canna, senza alcuna levata di scudi.
Mentre lavoro, seduto sul letto, una Dama nuda mi abbraccia da dietro, posando la guancia sulla mia schiena, allungando le braccia sottili sotto alle mie per cercarmi i capezzoli.

Accendo, tiro, trattengo, gliela passo, la assisto, la istruisco appena.
Tira, trattiene, soffia, me la ripassa. E il rito si ripete, sino allo spegnimento.
La Regina gode di torpore, si rilassa, si piace, leggermente ubriaca e “drogata”, come dice lei.
“Mi piaci Tazino, mi piaci tanto tanto tanto, sei come ho sempre sognato una Bestia vera.”
“Anche io ti adoro, mamma, adoro la nostra immorale intimità” e soffia tra i denti, sorridendo sporca.
Silenzio, grilli, timido vento, acqua lontana.

“Morirò, lo sai, vero amore mio? Lo sai, vero?”

No cazzo, mia Regina, non sono affatto pronto.
Non sono affatto in grado di gestire questa eventualità.
Non sono maturo, non ho armi, non ho imparato niente dalla vita, pur avendone prese di forti, pur continuando a prenderne, ma le lezioni a me non servono, sono troppo sottili ed io sono refrattario, ottuso, zotico, io so solo scappare, scappare tentando di detergere, senza lasciare traccia apparente, ma solo apparente.
Non so fare altro. E lo so fare anche molto male.

Ciò che mi consola è pensare che ogni giorno che passa è un giorno in meno verso il momento in cui troverò pace, definitiva, in un modo o nell’altro, sia che non ci sia nulla, sia che ci sia qualcosa, sia che io possa incontrare chi ancora quotidianamente mi manca, sia che non ci siano spiegazioni terrene al dopo o sia che cessi solo l’esistere.

Ed è per questo che, giorno dopo giorno, mi concedo, pigramente, deroghe comportamentali ed alibi, nonché uno stile di vita asociale, artificiale, disingranato, spostato, illusorio, zeppo di ricercata solitudine.
Perché l’inutilità della vita non conduce a null’altro che dolore nel viverla ed io non sono stato nemmeno capace di interromperla, questa farsa, ma ciò non significa che io sia disponibile a sottostare ai suoi dettami e alle sue liturgie.

“Non dirmi che stai morendo, non so gestire questa cosa.”
Un sorriso e un bacio sulla schiena, poi ancora guancia.

“Allora risvegliami il sesso oscuro, quello che ho seppellito per una vita e che oggi tu hai riesumato con un effetto stravolgente. Fammi essere la tua Sacerdotessa, mio Maligno.”
Mentre parla lenta, rollo di nuovo e fumiamo.

La notte fuori parla il suo dialetto orecchiabile e rassicurante.
La notte riposa in attesa del giorno bollente.
Lei si addormenta, avvolta dai fumi rilassanti.
La sistemo con cautela sui cuscini, la copro sino a metà col lenzuolo di sopra, faccio il giro, chiudo tutte le finestre, mi tiro dietro la porta e la lascio sicura nella sua Magione.

E torno al mio confortevole nulla.
Detergendo a fatica.







mercoledì 23 agosto 2017

Che puttanaio

Breve nota antefatto:
Mi rendo conto dei “ripescaggi” a distanza di anni, per cui ecco un brevissimo vademecum orientativo:
Nadia – Ex moglie di Max in procinto di rovinarlo. Max è il mio amico artigiano edile.
Kikka – Morosa instabile di Virus, socio di Max.
Antonella – Dalle sembianze del tutto simili a Debora Villa, morosa del Sa-aaarti, furgonista di origini modenesi, amico di tutti noi.
Umbe – Amico buono.
Zack - Amico “cattivo” (badate alle virgolette), ex dipendente della mia ex agenzia.
Betta – Segretaria amministrativa della mia ex agenzia.





Detto questo, ecco il fatto.

Chiamo la Kikka dopo anni ed anni di zero contatti. La chiamo nella speranza che il legame fisico e confidenziale di un tempo non sia morto, perché ho bisogno di orientarmi sulla Nadia che mi lancia tappeti rossi che convergono nella convergenza delle sue cosce.
Ma non svelo subito le mie necessità informative, ma dopo calorose feste di bentrovato, vere o false che fossero, è stata lei ad affondare i denti nella bistecca.
“Hai visto la Nadia, vero? Me lo ha detto” e lo sibila con un sorriso, che io la vedo anche se al telefono. E vedo anche che esiste già della letteratura al riguardo, verso la quale non ho che l’opportunità di sottostare, perdendo il ruolo di protagonista-pilota che avrei desiderato.
“Sì, l’ho vista al Flamingo. Saprai anche già che mi ha chiesto di portarla a cena.” aggiungo serio. Sortendo un lapidario “Certo.” dall’altra parte.
E così eccomi nelle spire dei servizi segreti che, come di consuetudine, potrebbero essere deviati o meno, fornendomi informazioni vere o false, usandomi a loro totale piacimento.
“Ti ho chiamata perché non capisco e mi sento sull’orlo di fare una cazzata e allora ho pensato a te, sapendo che…” – interruzione repentina – “Sì, vuole starci.”

Sinistro e attraente. Sapere di essere il protagonista di un disegno, di essere al centro di qualche progetto, fa sempre un illusorio piacere. Illusorio piacere che potrebbe trasformarsi in un casino epocale, considerando la fine senza appello fatta fare all’Antonella, la guerra con quell’altra acida tardona amicissima della Nadia, considerato l’abbandono delle nozze sotto coscia alla Sara collega di lavoro della Nadia, considerata la sparizione con la Kikka.

E Praga, con i progetti fuorilegge con Frà Costa? E Max? Se la Nadia per piacevole sadismo lo informasse, oppure delegasse qualche sua sodale a farlo? E Riga? E la Ade? E’ proprio giusto non provare a farsi sentire se non in caso di necessità? Ed è proprio il caso di giocare a shangai in mezzo a un groviglio di vipere mortali?

E il uozzappo di stamattina? Dove lo metto in questo puttanaio?
Recitava: “Sono stata una stronza, me ne rendo conto. Scusami infinitamente.” ed era a firma Skizza.

E così ho riso e ho ringraziato la Kikka. Proponendomi come sempre pronto a massaggiarle le superbe dita dei piedi.
“Ci penserò, baciobacio Tà.”

Che puttanaio.

lunedì 21 agosto 2017

Intimità da festina




Beh sai com’è, io al Flamingo ci vado da un bel po’, ok che frequento di sopra a caccia della milf/gilf dei miei sogni cessaioli smanettoni, ma una rampetta di scale per scendere giù nella sala lenti anni ’80, così buia e così “festina”, riesco ancora a farla.

“Oh ma vè chi c’è” dice una voce femminile nota, alle mie spalle, al che mi ruoto e visiono una milfona da urlo, bionda, capello corto a boccoloni, tettona che diograzie, abito lungo nero, sandalo fottimicomesenoncifosseundomani, vualà chi c’è?

La Nadia, moglie pro tempore del Max l’alcolizzato rinconglionito.

Che stupore, amisgi, non credevo che la Nadia mi cagasse, specialmente in assenza del Max, specialmente se in compagnia di alieni amici cciovani.
Puzza di raccolta informazioni, ovviamente. Ed ovviamente io ci sto.

Baci, abbracci, sorrisi, cortesia, come stai e come non stai, ma cosa bevi bella bionda, quello che bevi tu Tazio (che sexy, mi ha sempre messo di buon turgore questa risposta) e allora vieni, la stacco dal gruppone, la piallo al bar, due bourbon lisci, acqua e ghiaccio a parte, cin, cin, ma tu pensa, è da una vita, già, ma dimmi come stai Nadietta.

Tristi racconti di disagio esistenziale appena accennato, perché i dettagli li devo dare io, mica lei, che comunque ‘sto disagio appena accennato mal coniuga con la mise, il locale e gli amici cciovani.
Faccio quello che comprende discreto, ordino un altro giro di burboni birboni, poi mi arriva Rufus e Chaka Khan e cosa vuoi fare? non la inviti a ballare? e si balla ragazzini, canticchiando e ridendo e cristogesùsanto che due tette, io così vicine e nude sotto un capino di stoffa micrometrica non avevo mai avuto il piacere.

E mi fissa sorridente come una ragazzina alla festa che viene raccattata dal bello della scuola e io sorrido di rimando e balliamo soavi, con quelle tettone carneadi che mi premono sullo stomaco attonito e la stringo e la abbraccio, che Chaka Khan era bella che a letto e le carezzo la schiena in questo cheek-to-cheek inaudito, la sua testa sulla mia spalla, la manina nella mia, appoggiata al petto e la mia altra mano che mi sottolinea via radio a canale riservato che è suo dovere preciso indagare se la femmina è perizomata, mutandata o priva e così dò luce verde alla mano che assesta una signora carezza sulla chiappa da giovane rizdora culea, sortendo un “Tazio!” divertito e gioioso (e che comunque la risposta era “perizoma/tanga”) ed allora mi accoccolo a baciarle il collo e a sussurrarle groomer all’orecchio che mi è sempre piaciuta, ma che era irraggiungibile, lontana, schermata, recintata e lei strabuzza, mi prendi in giro? Mo nò che non ti prendo, Nadia, te lo dico che siam qui intimi e si balla stringendoci di più e io mitraglio antichi dettagli irrisori che fanno un effetto stragista (cogliere sempre i dettagli irrisori, memorizzarli e spenderli) e ci appiccichiamo così tanto che era pressoché impossibile non farle avvertire un’erezione estroversa e di carattere, ma la Nadia fa la stupida, ma stupida non è.

E flirtiamo.
E ci strusciamo.
E dopo molto la riammollo al gruppone e lei fruga nella borsa, tira fuori il parlafono e distrattamente mi chiede “Max lo vedi?” a cui io rispondo uno scontato “E’ dà un bel po’ che non lo vedo”

“So che gli è spuntata la passione pedofila” – “La cosa? Ma dai, scema!”
Dai che sai benissimo a cosa mi riferisco, o non sai niente niente?” e mi pianta gli occhi negli occhi ridendo crudele e poi aggiunge rapidamente “Dammi uno squillo che così ho il tuo numero: 347…”.

“Magari mi porti a cena, una sera” aggiunge troia e ammiccante ed io rispondo affermativo, un piacere, magari, sentiamoci presto, baci, ciao Nadia, ciao cciovani, ciao, ciaone.

Puttana falsa, ipocrita e pericolosissima.
Io ci sto, quasi quasi.

E perchè no?








domenica 20 agosto 2017

Costatotò Squinternaci



“Nihend Thaz, hallor, c’è quest siduhazion…” e il soggetto somigliante a un Totò Schillaci post parrucchino e post figlio nero, mi sciorina la sua vision del concept, agitando le tozze manine inanellate a cazzo, coi RayBan Aviator a specchio a fermargli la chioma ciuffea, garantendogli così a pieno titolo visivo l’aura da puttanier-spacciator-mafioso che, in un certo qual modo, gli appartiene di diritto.

Location: la Solita, come si conviene alle tappe della vita più importanti, tavolino per due defilato, come una coppia gay pre out coming, il Costa fuma, fottendosene dei borbottii, perché lui “manco ithaliano sono, cazzo rompetaminc”, sentenza giustissima che pone inevitabilmente l’attenzione su quando cazzo mai lo sarebbe stato, italiano.

Un progetto ambizioso, assolutamente pericoloso ed illegale al punto che chiunque dotato di un briciolo di buonsenso ne avrebbe rifiutato qualsiasi coinvolgimento ed io, pur essendo dotato di men di un briciolo di buonsenso, non ho esitato ad accettare con curiosità e malcelato entusiasmo.

E dopo sette sambuche ed un clima assai più rilassato di quello iniziale, il calabrone ha ripreso il suo traghetto della Tirrenia mascherato da SUV ed ha proseguito il suo tour Soverato – Praga con tappa a Taziopoli giusto per due chiacchiere col Maestro, come giustamente mi definisce.

Nessuna fretta, nessuna pressione, quando ho tempo salgo a Praga e da lì, in “acque amiche” come sinistramente le definisce il Costa, si comincia a fare un’analisi di fattibilità.

Bella lì Costafrate Frà Costa.

Paoletta maledetta cagacazzo


E mi torna dalla balneazione quindicinale con l’epidermide scurissima, i capelli biondissimi lì dove mechati e scurissimi lì dove naturali, inguainata nell’abitino di cotone, issata sui sabot a suolona zeppona di sughero e tomaia di pelle in tinta con l’abitino e mi reca infingarda lo smalto rouge noir che sa che adoro e mi mangia a quattro palmenti una cena-banchetto a cui manca solo la distribuzione delle bomboniere, ribadendo un’indole godereccia che sa che apprezzo e discorriamo, di politica-arte-pittura-geografia-giornalismo-burocrazia-pubblicità-chi-cambia-canale-è-una-bomboniera-impegni-previsioni-la casa!-la casa!- noi giornaliste-voi pubblicitari-loro camerieri-il conto vi supplico.

Paoletta goduriosa e formosa, corpacea e curvacea, molto carnacea e mammellacea, presuntuosa quel giusto da renderla insopportabile, ma poi umana e tenera da indurre l’oblio sulla presunzione, attenta, curiosa, intelligente, decisamente sfacciata da ritenere che, pur non sapendo un cazzo della perdizione e pur non essendosi mai esibita neppure in topless sulla spiaggetta dell’oratorio, nessun limite sia invalicabile per lei e tutto sia naturalmente sperimentabile, senza remore morali, dato che trattasi di un “esperimento” e “cosa sarà”, quando invece lo status di pervertito è un’esigenza, una necessità, non un passatempo pomeridiano in attesa del tè con la contessa.

E di questo si discute dopo una gradevole e vivacissima incularella, stesi sulle preziose lenzuola di cotone egiziano, il cui colore esalta la sensualità dell’abbronzatura interrotta da aree candide che gli appassionati di tan-lines apprezzerebbero con grande eccitazione.
Inaliamo molto scialli il cannellone ripieno di erbetta spinella di non mia fornitura, buona, che sale bene e bastona il giusto e la Paoletta mi tormenta con quesiti incessanti relativi al mondo sommerso delle fogne di Calcutta a cui io appartengo.

La luce aranciata, calda, lei nuda, di pancia sul letto, strabordante di tette schiacciate, il viso tra le mie gambe aperte che esibiscono la maestosità singolare della mia ipermascolinità reattiva, mi diverto a negarle la sua pretesa attitudine porcaiola pubblica e lei si incazza, adducendo sostenibili obiezioni quali “ma scusa, secondo te cosa non ho per potermi mischiare alle tue troie” che mi inorgoglisce, pur essendo conscio che troie di prima mano non ne ho affatto, ma taccio e mi godo il titolo, ricacciando al mittente l’obiezione con un sommario e supponente “ma dai, sei troppo una brava ragazza per queste cose e poi sei poco esibizionista…” che scatena l’inferno sul concetto di “brava ragazza” e su quello di esibizionista poiché, ella sostiene, il non essersi mai trovata nella circostanza adeguata in cui esibirsi non la può bollare come non esibizionista, specie considerano che una donna di trentasei anni che si ritiene figa, specie perché milf formosa, la voglia di mostrarsi ce l’ha.

“E allora domani ti porto lungo il Po e ci spogliamo nudi”, ma l’offerta non basta, viene sminuita a semplice nudismo, aggiungo la variante di una copula dinnanzi ad altri, ma vengo smontato con un “capirai, parliamo di una botta in camporella”, di cui discuto il concetto di “botta” e di “camporella” descritti con così annoiata indole, sferrando un fendente facile “ma tu una botta in camporella te la sei mai fatta dare, specialmente davanti ad altri?” nella certezza, immediatamente confermata, che no, mai le è capitata una simile situazione promiscua.

Sarà stata la stanchezza, l’ora tarda, l’argomento elastico come la pelle dei coglioni, sta di fatto che ho avvertito l’impeto sapendo perfettamente di doverlo trattenere senza successo, ed ho bruscamente interrotto la sua dotta trattazione, resa logorroica anche dal THC, con un plebeo ed esageratamente maschilista “Vieni qui e succhiami il cazzo”, brandendo la verga grassoccia in direzione della sua vicinissima faccia.
“Scordatelo stella, prima ti vai a lavare, ti sei dimenticato dove me l’hai messo?” che avrebbe smontato anche il mitico Rocco, il maestro Nacho Vidal, ma chiunque al mondo.

E mi alzo solerte, senza una parola, direzione doccia, mentre odo dalla camera uno sbadiglio e un “E poi sono stanchissima”, che mi porta nel bagno con un tragitto successivo già costruito, che vede la mia auto, l’alba e la mia casetta come POI.

No, brutta direzione con la Paoletta, bruttissima.
Fortuna che lunedì migra a Roma Capitale.
Io migrerò sulle spiaggette del Po in qualità di onanista osservatore, invece, per la gioia di oscene coppie mature che sanno bene cosa vogliono, senza se e senza ma.
A ognuno il suo.